venerdì 29 dicembre 2017

AUGURI DI BUON 2018!

Per un CAPODANNO che ci faccia fiorire!
da Pablo Neruda 
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell'anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.”

martedì 5 dicembre 2017

IL VISCHIO pianta sacra di buon augurio per l'anno nuovo.

Nel passaggio rituale dall'anno vecchio al nuovo, tra gli addobbi festosi nelle nostre case non dovrebbe mai mancare un ramo di lucente vischio, segno della vita che continua.
'Viscum album', un miracolo della natura che spicca nei boschi invernali, sui rami spogli, come un verde decoro impreziosito dai tondeggianti chicchi lunari argentei o dorati a seconda dell'albero su cui si adagia: meli, peri, abeti,roveri, querce che supportano questo particolarissimo parassita, anzi semiparassita perché non si nutre solo di linfa ma anche di clorofilla.

Tradizione vuole che lu vesc o visc (in occitano e in piemontese) dispensi fortuna, sicuro traghettatore senza scossoni e guai, dal passato al futuro. Le credenze popolari attribuiscono infatti alle umide bacche del vischio la capacità di creare legami duraturi grazie alla collosità dei loro umori che, per analogia, farebbero da collante nei rapporti interpersonali...rendendoli indissolubili per almeno un anno intero!

Pianta aerea e solstiziale per eccellenza, evocativa di antichi riti solari, veniva considerata, come tutti i sempreverdi, simbolo dell'immortalità e della perpetua rigenerazione, doni che l'umanità scaramanticamente ha sempre vagheggiato nei momenti di cambiamento. Ritenuto un dono degli dei poiché, non avendo radici a terra, la sua origine appariva misteriosa e quindi celeste, si credeva che il vischio fosse originato dal fulmine e quindi ne possedesse le proprietà di 'fuoco divino', mito studiato dall'antropologo J. Frazer nel suo libro più importante 'IL RAMO D'ORO'.

Adorato dalle popolazioni gallico-celtiche, in particolare il vischio quercino venne eletto a panacea di ogni male. Già Plinio il vecchio ci racconta come gli antichi sacerdoti celti, i Druidi abbigliati di lino bianco, ne ritualizzassero la raccolta e per preservarne tutta la magia facevano uso di strumenti preziosi color del sole, falcetti e bacili d'oro, e non lasciavano cadere i rami a terra, ma su un candido lenzuolo disteso, per proteggere il vischio e mantenerlo incontaminato.

Una pia tradizione cristiana narra che originariamente il vischio sarebbe stato un albero vero e proprio ma poiché il suo legno venne usato per la Croce della Passione di Gesù perse le qualità della specie e si ridusse alla inferiore condizione 'vampiresca' di pianta senza radici in terra.

A poco a poco venne poi reintrodotto in Chiesa come segno di pietà e di tolleranza universale, e si tentò anche di coltivarlo a scopi erboristici. Le indicazioni terapeutiche più rilevanti riguardano il suo uso ipotensivo e diuretico, grazie alle proprietà vasodilatatrici naturali capaci di abbassare la pressione arteriosa e favorire il circolo.

In Valle Roja, incantevole sito tra i più antichi d'Europa che unisce le Alpi Occidentali al mare, la natura selvaggia offre ancora la possibilità di raccogliere o almeno di vedere sugli alberi il vischio ormai quasi ovunque protetto. Si tratta infatti di un infestante, ma non per questo meno prezioso, diffuso nei luoghi più incontaminati e quindi sempre più introvabile. Come coltivarlo o farlo crescere è impresa non facile, visto che la sua riproduzione naturale avviene ad opera degli uccelli, soprattutto dei tordi ghiotti di queste bacche, che trasportando i semi da un ramo all'altro danno l'avvio allo sviluppo delle nuove piantine.

E che dire del bacio degli innamorati sotto il vischio? Questa dolce ritualità pare si sia diffusa a partire dall'Inghilterra dei Tudor e degli Stuart. Ma l'augurio più intenso per il brindisi di Capodanno ci viene, ancora una volta, dalla Provenza. E' lo scrittore Frédéric Mistral, con un richiamo ai valori della vita secondo la saggezza popolare, che ci ha tramandato questo augurio. “Diéu nous fague la gràci de/vèire l'an que vèn,/ E se nous sian pas mai, que/noun fuguen pas men”.


mercoledì 22 novembre 2017

L'ALCHECHENGIO, un lanternino acceso nell'orto di fine estate.

 
Egon Schiele, Autoritratto con alchechengi
I colori della collina autunnale ci compensano della lenta ma continua riduzione della luce solare diurna ed è un' incredibile sorpresa, ogni anno come un regalo inatteso, quando nell'orto di campagna e lungo la piccola siepe del muretto di casa, in mezzo al fogliame già cadente, cominciano a spiccare intensamente quei lanternini di un bell'arancio vivo che ci restituiscono l'illusione dell'estate piena anziché agli sgoccioli.
Sono gli straordinari frutti dell'Alchechengio o Alicacabo (l'halikakabos descritto da Dioscoride) o Chichingero, dall'arabo al-kakang o lanterna cinese. Physalis Alkekengi nella dizione scientifica, 'fusalis' ovvero 'bolla' o 'vescica' che, proprio in attinenza alla forma ma soprattutto alle sue proprietà, viene anche denominata Vescicaria, indicata nella medicina naturale proprio come depurativo delle vie urinarie, soprattutto per chi soffre di gotta, renella o calcoli renali, nonché come antiossidante e fonte di vitamine.
E' una Solanacea, come il pomodoro e la patata, ma la sua unica parte commestibile è la bacca autunnale, piccola, tonda e lucida, di colore intenso, avvolta nell'involucro a palloncino cui si confà il delizioso termine francese di 'amour-encage' ovvero 'amore in gabbia'. Anche nota per la sua forma come ciliegia d'inverno, cérèy'so d'amour, cérèy'so dis jusioous (Mistral) e, sempre in Provenza, 'érbo di serp'. Forse quest'ultima in riferimento alla sua radice rizomatosa che striscia sotto terra con grande vigore propagando la pianta di anno in anno.
Il fiorellino bianco e poco appariscente, spesso confuso con quello della fragola, sboccia tra primavera e estate a seconda dell'altitudine. Ma il culmine dell'esuberanza di questa pianta molto decorativa si esprime proprio in ottobre quando le bacche colorate, racchiuse nel lampioncino cartaceo rosso-arancio, evocano un'incredibile festa di luce esorcizzando l'arrivo dei mesi più bui.
Come sostengono la Cromologia o psicologia del colore, nonchè la Cromoterapia, già nota fin dagli antichi Egizi per la cura di alcuni disturbi psicosomatici attraverso applicazioni di luce colorata, le tonalità calde dei rossi, gialli o aranciati, stimolano emozioni che aumentano la tonicità dell'organismo. Migliorano infatti l'attività muscolare e quella circolatoria, regolatrici di pressione sanguigna, frequenza cardiaca e respiratoria, con un buon incremento dell'energia vitale, proprio quella che in autunno tende invece normalmente a regredire all'unisono con il letargo della natura.
Molto usati come decorazioni ornamentali nelle ricorrenze di Hallowen e un po' più in là nelle festività natalizie per la vivacità del loro colore benaugurale, i Palloncini, altro nome con cui sono conosciuti gli alchechengi, se essiccati a testa in giù e privati delle foglie durano per lungo tempo e regalano a mazzi e composizioni un tocco di stile.
Apprezzati dagli artisti li troviamo in molti quadri che raffigurano 'Nature morte'. Il pittore viennese Egon Schiele, tra i principali esponenti dell'espressionismo, accostò un ramo di alchechengi al suo volto, forse una metafora, nel celebre ed inquietante 'Autoritratto' del 1912.
In Francia al momento della vendemmia si preparava, con le stesse modalità del vino d'uva, un vino d'Alchechengi dal gusto gradevole e dalle comprovate proprietà diuretiche.
Il sapore delle bacche ricchissime di vitamina C (ne contengono circa il doppio del limone), a metà tra quello dei lamponi e degli agrumi, non sempre è gradito perché un po' aspro quando i piccoli frutti non sono ancora del tutto maturi. Diventa invece una prelibatezza in abbinamento con il cioccolato fondente.
Il procedimento, piuttosto semplice, consente persino il 'fai da te' casalingo. Per servire uno squisito dessert si può scegliere di intingere direttamente i piccoli frutti a ciliegina nel cioccolato già precedentemente sciolto (un po' come per la bagna cauda è meglio se si fa in compagnia) tenendoli per il calice risvoltato in su in modo da non scottarsi.
Oppure, raffreddati, trasformarli in deliziosi dolcetti al cioccolato da disporre su un piatto a mo' di bon bon in vista delle festività di fine anno. Sublime per chi ama gusti esotici e sapori insoliti.








mercoledì 5 luglio 2017

LAVANDA, la Spighetta di San Giovanni



Lavanda è il nome di una pianta ma è anche il nome di un colore e di un profumo. Un tris di attributi perfettamente integrati nel fiore 'lavando o levando, labando, lauandro, alebandro, bondo, bounto' (occitano-provenzale di Mistral), tipico della Provenza che, per tutta l'estate, ci regala larghe distese di un particolare blu-violetto cui si sono ispirati artisti come Cézanne, Matisse, Gauguin, Van Gogh.
Fiorisce tra giugno e luglio azzurrando il paesaggio con il suo intenso colore che par d'essere là dove è mappata la Route de la lavande, un itinerario da favola tra antichi borghi provenzali, un imbattibile target culturale e turistico. Messo a rischio anni fa da una malattia che aggredì alcune specie del lavandin, ibrido naturale tra L.angustifolia ( espic) e L.latifolia (badafa, coltivato a partire dagli anni '30 per la sua resistenza agli sbalzi climatici e per la ricchezza di oli essenziali) causando danni non soltanto economici ma paesaggistici a questa straordinaria terra di luce e fragranze, culla madre della lavanda di qui diffusasi in tutto il bacino del Mediterraneo e successivamente nell'Est d'Europa fino alla Tasmania e poi in Canada.
Lavandula angustifolia o officinalis, la labiata di origine mediterranea, è di casa anche nelle nostre meravigliose valli cuneesi dove cresce spontanea fino e molto oltre i mille metri (1800 nelle Cozie). Comune nelle Alpi Liguri (resa celebre da uno spot radiofonico degli anni '60 che reclamizzava la 'Coldinava ...vicino alle stelle'), naturalizzatasi poi anche in Val Gesso in quei terreni più esposti al sole, ha trovato una vera e propria rinascita, tra le nuove colture, a Andonno e in altri territori del Parco Naturale Alpi Marittime dove, nei secoli scorsi, era una risorsa economica per molte famiglie che festeggiavano il momento del raccolto in agosto (in occitano “Ai temp d'l'izòp”). Dal Piemonte la lavanda confluiva poi a Grasse, capitale dei profumi, dove si recava gran parte della popolazione partendo dalle nostre povere vallate per trovar lavoro come mano d'opera, soprattutto nell' agricoltura.
La coltura della lavanda, riproposta da un po' d'anni in Alta Langa a Sale San Giovanni, nel periodo della fioritura crea un paesaggio evocativo: terra chiara e fiori blu, del tutto simile a una piccola Provenza piemontese.
La suggestione persiste anche perché il nome popolare della pianta, detta Spighetta di San Giovanni per la tipica forma raggruppata delle sue minuscole infiorescenze che spiccano su fusti eretti tra le foglie lineari e cinerine, ricorda il Santo delle Erbe. E' infatti tra le principali aromatiche per l’Acqua di San Giovanni insieme a rosmarino, iperico, ruta, artemisia, salvia, verbena, mentuccia e tutte quante le buone erbe che si raccolgono, in concomitanza con il loro tempo balsamico, nel periodo solstiziale estivo.
Il folclore vuole che questa magica pozione si prepari la notte antecedente la festività del 24 giugno, mettendo a macero i vegetali raccolti in luoghi incontaminati, disposti in un bacile colmo di acqua sorgiva, all'aperto. L'esposizione alla luna e alla rugiada del mattino, secondo l'antica tradizione alchemica arricchirebbe l'acqua di quei benefici straordinari principi posseduti da erbe e fiori in quel preciso momento dell'anno, tramutandola in un potente lavacro per dar splendore e salute alla pelle e scaramanticamente offrire un anno d'amore e felicità a chi ne faccia uso.
Pianta dal temperamento generoso, rispettosa nei confronti della flora che la circonda, la rustica e spartana lavanda si accontenta di terreni poveri e sassosi, di poca acqua, e si espande moderatamente in modo da non soffocare le esigenze vitali delle altre specie circostanti. Un esempio di sobrietà che la natura ci offre a modello per quella 'decrescita felice' di cui si teorizza in questi anni di crisi economica e non solo.
Splendida mellifera, il suo aroma eccezionale attrae le api che producono uno tra i mieli più pregiati, dal gusto delicato utile rimedio per mal di gola e stress.
Nel nord dell'Algeria le donne cantavano“Salute Lavanda” perché si credeva che questo fiore le avrebbe protette contro i maltrattamenti dei mariti (A.Cattabiani), mentre le sposine timorose e immature, impaurite da prestazioni sessuali rozze o indesiderate, contavano sull'effetto rilassante e anti-panico delle spighette profumate che nascondevano sotto i cuscini. Forse anche per questi effetti sedativi le nostre nonne amavano immensamente la sua inconfondibile fragranza? Verrebbe da sorridere se i tremendi episodi che ci propone la cronaca ogni giorno non facessero rivalutare questa virtuosa essenza raccomandata per squilibri e disturbi nervosi come 'malinconia, nevrastenia, irritabilità, spasmi e insonnie' (J.Valnet), superficialmente e genericamente liquidati in passato come 'crisi di tristezza delle donne'.
Simbolo di purezza e verginità, tante e preziose sono le acclarate proprietà analgesiche e antisettiche della Lavandula (nome scientifico dal gerundio latino di 'lavare') a ribadire le qualità detergenti di fiori e foglie che, essiccate in sacchettini d’organza negli armadi di casa e nei cassetti, quando ancora la chimica non aveva preso il sopravvento, conferivano un lieve profumo agreste alla biancheria, lenzuola e asciugamani, preservandola dalle tarme.
Assai pregiati il sapone alla lavanda e l'Esprìt de lavando, qualche goccia su un fazzoletto di lino o cotone, in caso di lievi malori, stress, o per tener lontani raffreddori e mal di testa.
Potente antisettico per la pulizia della pelle, la disinfezione e contro le punture di insetti, è indicata dal dott.Valnet, tra i massimi esperti mondiali di Fitoterapia, per più di una ventina di disturbi e affezioni che riguardano le vie respiratorie quali asma, pertosse, bronchite, influenza, ecc., per le quali rappresenta una vera panacea.
Da sottolineare anche le proprietà antivenefiche ben note nella tradizione dei cacciatori alpini che, quando i loro cani venivano morsi dalle vipere, stropicciavano un po' di lavanda tra le dita e la strofinavano sugli animali neutralizzando in tal modo il veleno.
In cucina, sull'onda della 'green philosophie' che rivaluta il genuino e naturale, è tornata alla ribalta per dolci da forno, biscotti e brioches, o per profumare piatti di salumi o altri cui dona un tocco di soavità.
Gli usi magici della lavanda, come si faceva in passato, riguardano le intrinseche proprietà, attribuite alla pianta, di allontanare malocchio e streghe, ai cui malefici si cercava di sottrarre soprattutto i bambini, nonché all'acclarato potere di allungare la vita a chi 'regolarmente l'annusasse' (S. Cunnigham).

dall'ebook 'A San Giovanni tutte le erbe sono sante'


venerdì 30 giugno 2017

Sale San Giovanni

Domenica scorsa, 25 giugno 2017,  a Sale San Giovanni, la piccola Provenza cuneese, per la Festa della lavanda.

lunedì 26 giugno 2017

ERBO DE SAN JAN

Hypericum perforatum
 
Fra le numerose piante dedicate al santo Giovanni Battista, ne abbiamo contate all'incirca una trentina cui vengono riconosciute proprietà benefiche o addirittura terapeutiche, la primogenitura spetta al dorato Iperico, perenne originario dell'arcipelago britannico noto come St.John's wort che è infatti, per antonomasia, l'Erba di San Giovanni o Erbo de San Jan.
La fioritura di solito inizia da metà giugno, quando il sole all'apice del ciclo annuale irradia tutta la sua potenza energetica su erbe e fiori il cui tempo balsamico coincide con il solstizio, e per tutta l'estate brilla di un giallo fulgido sprigionando, anche in penombra e nelle notti di luna, una lucentezza che sembra catturata ai raggi dell'astro solare.
In tutta Europa e nelle regioni mediterranee ha un habitat molto esteso: nelle nostre valli, dalle Alpi al mare, cresce spontaneamente negli incolti e lungo strade o sterrati, in boscaglie e zone ruderali cui conferisce un tocco di solarità.
Il suo nome scientifico Hypericum perforatum si richiama all'impressione, se guardato controluce, che le foglie siano bucherellate, peculiarità dovuta alle innumerevoli gocce di olio essenziale contenuto sotto l'epidermide. Anche in occitano a seconda delle parlate, è noto per queste stesse caratteristiche come milepertùs o millepertuì, trafourèllo. il péric, l'èrba pertusaa.
Cacciadiavoli, scacciadiavoli e chassa-diablé, dal medioevale 'fugademonum', diciture anch'esse note nella tradizione popolare, si riferiscono soprattutto alle qualità intrinseche della pianta che contiene un pigmento rosso l'ipericina cui sono riconosciute proprietà antidepressive superiori a quelle di più noti farmaci di sintesi. Ed è probabile che stabilizzando il tono dell'umore ed aiutando così ad affrontare i problemi della vita quotidiana con meno ansia e maggior serenità, l'iperico ha meritato già nei tempi addietro il titolo di pianta che tiene lontani malinconie e guai. I maggiori dei quali, nella civiltà contadina di un tempo, erano costituiti da malattie, morte del bestiame, tempeste, ecc.
Di qui l'uso magico e apotropaico della pianta in virtù della quale venivano fugati i 'demoni o diavoli' e le varie energie negative derivanti da ipocondrie e paranoie legate alle paure incontrollabili. Nella notte di San Giovanni durante le feste popolari coloro che saltavano i falò si cingevano la fronte per assicurarsi scaramanticamente l'incolumità dal fuoco e, successivamente, le fronde venivano buttate sui tetti e sugli usci delle case contadine per esorcizzare incendi e fulmini.
Di recente l'iperico è stato riconsiderato, nella farmacopea ufficiale, anche per le sue qualità antivirali oltre che antibatteriche e antinfiammatorie, ed è stato impiegato come rimedio sperimentale addirittura nella sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS).
Dall'ipericina, che sgorga come sangue dai fiori triturati richiamando l' immaginario mistico del martirio di San Giovanni e di altre ritualità sacre precristiane, si ottiene anche l'olio rosso noto rimedio fitoterapico per la cura di bruciature, dolori muscolari e slogature.
La preparazione di questo linimento, fra i più efficaci dei prodotti naturali, si ottiene esponendo al sole un barattolo di vetro contenente le sommità fiorite immerse in olio d'oliva o di girasole, quest'ultimo molto ricco di vitamina E assai utile per la pelle, solitamente per quaranta giorni fintanto che l'olio non si tinga del tipico color mattone caratteristico del principio attivo. L'erboristeria magica vuole che i fiori per quest'olio debbano esser presi a mezzogiorno del 24 giugno, festa di San Giovanni, mentre per gli altri usi l'erba va raccolta prima del sorgere del sole nella notte precedente il celebre 'midsummer day' degli anglosassoni, in cui realtà e sogno si confondono come ci racconta Shakespeare.
Più concretamente in Provenza i contadini si recavano in campagna all'alba della festività per portare tutte le erbe aromatiche e commestibili di primo mattino sul mercato di Marsiglia dove venivano venduti tra le primizie.
Secondo altre credenze popolari i mazzetti con le erbe di San Giovanni costituivano, per le donne nubili, una pratica rituale: ponendo uno di questi amuleti sotto il cuscino la sera della festa si potevano ottenere presagi, il mattino successivo, sul proprio futuro familiare e amoroso. Di solito la composizione era fatta con nove erbe tra cui non doveva mai mancare l'iperico che nel Vocabolario dell'amore significa ' oblio dei tormenti della vita'.

Le Erbe di San Giovanni

Oltre al dorato Iperico che è l’Erba di San Giovanni per antonomasia, sono attribuite al Santo del solstizio l’Artemisia, figlia di Artemide, divinità femminile,  o Corona di San Giovanni, più nota con il nome di Assenzio comune o volgare. Si trova lungo i margini dei sentieri e delle rovine – molto diffusa fra i ruderi di Triora, nel Ponente ligure – viene usato per un liquore digestivo detto ‘vino d’assenzio’.
L’Asparago di bosco o Rosa di San Giovanni, che alla germinazione primaverile ci procura  gustosi piatti di rossi “asparagi montani” selvatici e,a partire da giugno, impreziosisce con spolverini bianco-gialli i solitamente scuri sottoboschi. Le sue proprietà principali sono espettoranti e  febbrifughe.
L’Edera terrestre o Cinghia di San Gio­van­ni si raccoglie per combattere d’in­verno i malanni dei bronchi.
il Ribes rosso, noto anche come le Bacche di San Giovanni, impareggiabile per il succo che se ne trae, o da consumare in macedonia o trasformato nella classica gelatina, favolosa per le crostate, ricco di vitamina C e quindi tonico e digestivo.
Mar­gherita dei prati è la gloria dei campi, da tutti conosciuta e amata, può essere usata fresca sulle piaghe a scopo cicatrizzante oppure sec­ca, in infusione, ottima per le congiuntiviti.
Achillea millefoglie, l’erba apprezzata da Achille e dai suoi guerrieri per  guarire le ferite che, in infuso, è un buon tonico e aiuta a  liberarsi dai parassiti intestinali.
Infine la preziosa Salvia di cui si dice «Perché dovrebbe morire l’uomo che ha la salvia nel suo giardino?».
La si trova anche selvatica nei prati, ma l’officinale è così facile da coltivare ed è così potente che non bisogna esitare a piantarla nel proprio orticello. In­so­stituibile come tonico e stimolante, è pure un ottimo digestivo.
…e le venti sorelle in ordine alfabetico
An­gelica, Biancospino, Borragine, Ce­lidonia, Genziana, Is­so­po, La­­vanda, Mag­gio­rana, Mal­va, Melissa, Menta, Mir­to, Nasturzio, Pim­pinella, Pian­­taggine, Re­gina dei pra­ti, Ro­smarino, Sem­pre­vi­vo dei tetti, Timo e Ver­bena.
Erbe tutte piuttosto note e utilizzate nella fitoterapia per le  loro comprovate  virtù intrinseche, cui  la notte di San Giovanni aggiunge un sapiente  tocco di sorprendente potere in più, arricchendone i già meravigliosi doni naturali che Madre Terra ci offre spontaneamente.