lunedì 15 novembre 2021

'AUTUNNO' di Vincenzo Cardarelli

 



Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.




lunedì 4 ottobre 2021

D'autunno il ciclamino selvatico 'ombelico della terra'


Stilizzato e elegante Cyclamen purpurascens, il ciclamino selvatico insediatosi da un bel po' d'anni nel nostro giardino in collina, anche quest'anno, incurante della pandemia, è fiorito con la solita abbondanza annunciando l'imminente autunno che, seppur solatio, è la stagione che dà l'addio alla luce.

Alto poco più o poco meno di dieci centimetri, è una bulbosa perenne molto rustica non poi tanto diffusa e perciò protetta in queste zone prealpine e montane, unico delle tre specie presenti in Italia dove cresce allo stato spontaneo così come nel versante francese. Apprezzato per la leggiadria delle forme ed il delicato profumo, il Ciclamino trae il suo nome dal greco 'kyklos', cioè cerchio o tutto ciò che tondeggia, per la forma globosa del tubero e delle foglie cuoriformi verdi variegate di bianco, nonché per i peduncoli lievemente ricurvi che, a fine fioritura, si arrotolano a spirale agevolando l'interramento dei semi nel suolo. Mentre 'purpurascens' si riferisce al color carminio dei peduncoli fiorali e dei tipici fiori rosato-scuro color 'ciclamo'.

Anche detto C.Europaeum, della famiglia delle Primulacee, popolarmente noto come Ciclamino delle Alpi laddove trova il suo habitat ideale nei boschi misti di querce, faggi, carpini e betulle o nei cespuglieti, in luoghi erbosi purché freschi su terreni leggeri all'ombra di felci e altri arbusti.

In Val Maira, da agosto a settembre, il bellissimo fiore si espande lungo il ben segnalato 'Sentiero dei ciclamini', meta di turisti italiani e stranieri, che partendo da Macra attraversa borgate montane dai pittoreschi nomi evocativi di antichi passaggi occitani di mercanti, predicatori e pellegrini. Qui il Ciclamino purpureo cresce endemico all'ombra dei faggeti, fin oltre i mille metri in un paesaggio che val la pena di percorrere anche per altri tesori artistici e storici e, sempre in tema naturalistico, per scoprire sia il vischio che la profumata lavanda selvatica, biodiversità da non perdere. Ovviamente non per esserne predatori ma per apprezzarne in loco fragranze e colori, magari fissandoli in immagini.

I Romani chiamavano il tubero del ciclamino 'umbilicus terrae', 'tuber terrae' e 'rapun porcinum' da cui il popolare nome di 'panporcino' giunto fino ai nostri giorni in quanto cibo prediletto dai maiali che non ne patiscono la tossicità come accade invece ai pesci cui viene dato come esca tossica.

Mutatis mutandis, esso veniva altresì utilizzato nella preparazione di dolci afrodisiaci così come si consigliava venisse indossato, allo stesso scopo, prima di coricarsi. Già Teofrasto, nel terzo secolo a.C., l'avrebbe citato come stimolo alla sessualità per facilitare l'atto del concepimento. Per contro nelle campagne, fin quasi al secolo scorso, veniva usato come abortivo. Tutto ciò, secondo le teorie analogiche, grazie alla forma 'uterica' del fiore i cui boccioli, si diceva, alleviassero le afflizioni di cuore.

Sempre col tubero si preparavano in passato unguenti e linimenti per svariate applicazioni curative.

Nel XVII° secolo veniva indicato per cicatrizzare la pelle butterata dal vaiolo e per restituire il colore rosato ai malati di itterizia. Nell'erbario di Tessalo (XV-XVI secolo) rifacimento di un'opera più antica, si legge che il massimo effetto terapeutico si ottiene raccogliendolo nel periodo in cui il Sole entra nel segno del Leone, pertanto, nonostante la fioritura autunnale, viene annoverato anch'esso tra le 'piante del Solstizio'.

Catalogato tra le piante velenose, viene usato assai raramente in fitoterapia e solo in dosi omeopatiche abbinandolo ad altri vegetali, mentre la medicina popolare nei secoli passati spesso se ne serviva come purgante o vermifugo.

Si pensa che il ciclamino si sia naturalizzato dopo l'avvento della floricoltura mentre gli antichi testi parlano di esso confermandone la presenza endemica sui nostri territori molti secoli prima di tale evento.

Il significato simbolico attribuitogli nel vocabolario floreale non è tra i più desiderabili trattandosi di un segno di 'scoraggiamento' piuttosto che di 'amabilità senza pretese'. Forse a causa dei suoi fiori flessi verso il basso, mai rivolti alla luce del sole, che conferiscono alla pianta un aspetto riservato e un po' triste, poco promettente per gli innamorati.



sabato 26 giugno 2021


QUEI MAZZOLINI DI SAN GIOVANNI


Il racconto dei mazzolini di erbe usati per propiziare la sorte e allontanare il malocchio ha radici antiche legate ancor prima del San Giovanni, grande ricorrenza di ogni estate, innesto cristiano di riti pagani dedicati al sole. Si festeggia pochi giorni dopo il solstizio, la giornata più lunga dell'anno che cade il 20 o il 21 giugno a seconda degli anni. E' proprio in questo breve lasso di tempo, tre/quattro giorni durante i quali il sole sembra 'sostare nel cielo' all'apice del suo ciclo, che l'effetto benefico dei suoi raggi su piante e fiori si fa più potente.

Nel calendario contadino il momento magico era dato anche da quella che veniva detta Luna delle erbe o Luna d'estate, in corrispondenza al novilunio del mese di giugno, una congiunzione astrale foriera di energie rigeneratrici per la terra ma soprattutto per quelle erbe, e sono la maggior parte, il cui tempo balsamico cade appunto nel periodo solstiziale. Ed è proprio in quel mitico incontro di sole e luna che le piante, officinali e medicinali, sembrano esprimere al massimo i propri aromi e presentano la più alta concentrazione di principi attivi in esse contenuti.

La notte della vigilia, ritenuta magica fin dall'antichità e preludio alla Festa in cui tutte le energie della luce e del fuoco, delle acque e dell'aria diventano sinergiche, momento di grande fertilità per uomini e animali, lo è soprattutto per la vegetazione, protagonista di svariati riti. L'erba vecchia vien bruciata attraverso i suggestivi falò o fungalere che illuminano la notte sulle colline prealpine, mentre le erbe nuove, raccolte al massimo della loro valenza energetica e al meglio delle loro virtù curative, assumono una valore aggiunto diventando benauguranti di abbondanza, ricchezza e fortuna, vere e proprie difese dai più temuti guai della vita, almeno per un anno intero.

Si diceva che il mondo femminile potesse avvalersi delle ‘Erbe di San Giovanni ’ per ogni esigenza. Nei tempi passati le giovani spose, proprio la mattina di San Giovanni, si aggiravano nude per i campi per rotolarsi nell'erba intrisa di rugiada, certe che questo bagno nella natura le avrebbe rese più fertili e capaci di generare prole con maggior facilità. Per le ragazze nubili era usanza porne un mazzetto sotto il cuscino la sera della festa per ottenere sogni profetici e presagi sul futuro amoroso e degli affetti in genere. Di solito il mazzolino 'portafortuna' era scaramanticamente composto da erbe in numero dispari , mediamente di sette o nove, reperibili in loco. Non poteva mancare il luminoso Iperico (Hypericum perforatum L.) dai fiori a cinque petali di un impareggiabile giallo splendente, l’ Erba di San Giovanni per antonomasia, molto usato nella medicina popolare perché ricco di molteplici proprietà toniche, stimolanti e antidepressive superiori a quelle dei più noti farmaci di sintesi. La Lavanda o Lavandula spica, nome che deriva dall'uso di aggiungerla all'acqua in cui lavarsi, amante dei terreni sassosi e aridi nelle Alpi Marittime, nel Cuneese e in Provenza, con i minuti fiori blu-violetti da essiccare per profumare la biancheria. Anche detta Spighetta di San Giovanni, calmante e antisettica, insieme a Iperico, Ruta, Rosa, Viola e Rosmarino, è annoverata tra le erbe per la famosa “Acqua di San Giovanni” che le nonne preparavano esponendo alla luna, in una bacinella con acqua di sorgente, fiori e foglie per ottenere, nella notte miracolosa, salute, bellezza, fecondità e lunga vita. Malva, Salvia, panacea di ogni male di cui si dice 'come può morire chi ha la salvia nel proprio orto?', E poi tra le altre aromatiche del luogo, la Mentuccia, digestiva e lievemente afrodisiaca, la Verbena, antidolorifica e per facilitare il parto, la Camomilla selvatica, lenitiva e schiarente per capelli.

Dedicate al Santo, da cui prendono anche il nome, sono poi l’Artemisia comune (Arthemisia vulgaris) o Corona di San Giovanni e l'Arthemisia Absinthium, più nota col nome di Assenzio (detta anche Cinto de San-Jan) dalle proprietà sedative della quale si narra fosse stata donata alle donne da Artemide per regolarne il ciclo e aiutarle nei parti difficili, vietata invece alle puerpere durante l'allattamento per il sapore che conferisce al latte, sgradito ai neonati. L’Asparago di bosco (Aruncus dioicus) o Rosa di San Giovanni, anche noto come Fiore dell'Ascensione ci procura gustosi piatti di rossi “asparagi montani” selvatici e, da giugno, impreziosisce con spolverini bianco-gialli il sottobosco rendendolo meno scuro. Le sue proprietà riconosciute dalla medicina popolare sono espettoranti e febbrifughe. L’Edera terrestre (Hedera Helix) o Cinghia di San Giovanni, rampicante comune su muri, rupi e tronchi d'alberi con nere bacche velenose, adoperata solo per uso esterno in pomate e tinture per capelli, o per rafforzare i legami amorosi, nascosta sotto il letto matrimoniale assicurava ai coniugi eterna fedeltà reciproca.

Il Ribes rosso (Ribes rubrum) anche detto Bacche di San Giovanni o Grappoli di San Giovanni (in Germania), impareggiabile per il succo che se ne trae, in macedonia o trasformato nella classica gelatina favolosa per le crostate, ricco di vitamina C, tonico e digestivo, viene anche chiamato Uva di San Giovanni, denominazione che talvolta viene attribuita altresì all'Uva ursina o al Caprifoglio.E infine l'elegante e misteriosa Felce (Dryopteris filis-mas) che pur priva di infiorescenze viene nella leggenda indicata come il mitico 'Fiore d'oro della notte di San Giovanni' (fiore in questo caso si riferisce al seme perché com'è noto la felce non fiorisce) che a chi lo vede indicherebbe la strada per trovare un tesoro arricchendolo.

Gloria Tarditi sul 'Dragone' - maggio 2021





















mazzolino di erbe per San Giovanni

 

martedì 1 giugno 2021

Può nascere un fiore nel nostro giardino


quarant'anni fa come oggi un incidente mortale ci portava via l'indimenticabile Rino Gaetano, personalità musicale ineguagliabile ❤ Sei sempre con noi Rino!

domenica 23 maggio 2021

AQUILEGIA, il fiore della Regina Giovanna


 



L' AQ


'Uno dei fiori più delicati e graziosi delle nostre Alpi', come venne definita da un insigne botanico, l'Aquilegia la vedemmo per la prima volta in natura, non in giardino, ma nel fresco e umido sottobosco di pini e faggi scollinando dalla Val Pesio verso Peveragno. Era d'estate e ci sorprese una scoperta così rara: una varietà rosata, talmente preziosa che non sembrava potesse appartenere alla flora selvatica.

Con sepali e petali ricercati, cesellati come gioielli, amatissima da pittori, uno fra tutti il Botticelli, con colori dal rosa al viola attraverso tonalità varie di azzurri, presente qui soprattutto nelle varietà 'vulgaris' e 'alpina'. Quest'ultima, ormai rara, è diffusa soltanto nell'arco alpino occidentale, sostenuta da interventi europei a favore della biodiversità diretti a preservare la specie migliorandone l'habitat naturale, per la conservazione e lo studio dei semi.

Bella si erge l'aquilegia / e china il suo capo” cantava Goethe. Una gioia per gli occhi e un'emozione per l'anima anche il suo nome, Aquilegia, un che di magico e esoterico per la similitudine con quello della regina dei rapaci. L'Aquila, a cui rimanda il portamento fiero degli steli eretti e ramificati che reggono le corolle con rostri disegnati nelle arcuate forme dei petali.

Della famiglia delle Ranunculaceae questa erbacea perenne fiorisce da maggio e per tutta la tarda estate, talvolta fino a ottobre; le sue foglie a rosetta quando si allargano ricordano le zampe di un palmipede, oca o rana. Per restare nel fiabesco, così come ci suggeriscono certe meravigliose comparazioni, il nostro immaginario si connette alla fantasia popolare attingendo al mito di Giovanna d'Angiò, la regina che lasciò un forte segno nelle terre occitane, dalle Alpi Cozie alla Provenza, ma che forse mai attraversò le nostre valli. Donna di straordinaria bellezza e intelligenza trasgressiva, venne poeticamente accostata ad un'aquila. Da qui la ballata di un anonimo trovatore ' ...L'aigla tournaivo – soubra la mountagno, sous li passaivo – nostro reina Jano...'. E come in tutte le favole raccontate dal folclore, in ogni figura mitica si cela il mistero: nel caso di Giovanna, come si tramandata in quel di Boves, si trattava del suo piede d'oca o di rospo, stigmate di stregoneria, attributo che si legava indissolubilmente alla figura di donna forte e indipendente quale era. La reina Jana, abbreviata in Rana, di cui si scorge la presenza in alcuni toponimi come Valle della rana o Garb d'la rèino Jano che indicano luoghi e percorsi come via degli Angioini. In Val Maira restano tracce della leggendaria Giovanna, qui narrata come 'fata buona' quando, con lo strascico del suo regale manto, porta il verde e i fiori della primavera alla comba di Marmora. Meno generosa laddove, respinta dalle loro terre, condanna gli abitanti dell'Arbarè a patire la sete.

Altro etimo da cui far derivare il misterioso nome dell'Aquilegia è dovuto alla forma della sua corolla simile a un piccolo bicchiere che quando piove si riempie d'acqua, dal latino 'acquam legere' e 'acquilegium' serbatoio d'acqua. Qualcuno vi intravede perfino un copricapo da giullare e molti altri significati vengono attribuiti a questa pianta anche detta Aquilina,Colombina,Cornetta, Aquilantina, Amor nascosto e Amor perfetto. Per queste ultime due diciture gioca nel primo caso il fatto che gli insetti pronubi debbano infilarsi con fatica lacerando addirittura i sepali per suggerne il nettare, mentre nel secondo intervengono altre interpretazioni di filosofi e scrittori. Ceronetti ne immagina addirittura un malioso incompleto acrostico (manca la A finale) 'Amorosa/Quintessenza/Ultima/Intera/Luminosa/Entità/Giovinezza/Immortale'.

Da tutte queste suggestioni si deduce il perché della sua antica fama di erba afrodisiaca e di come quella forma di becco o di artigli d'aquila abbia indotto nel passato molti naturalisti, seguaci della 'dottrina delle segnature', a individuare nell'Aquilegia il rimedio principe per la vista, tale da renderla acuta come quella del rapace. Fra le antesignane di questa ricerca la monaca visionaria Ildegarda de Bingen, filosofa e botanica medievale, che descrisse l'Aquilegia come 'fredda'.

Dopo innumerevoli prescrizioni, nel Medioevo e nei secoli successivi, per le più svariate e oggi quasi sconosciute disfunzioni (selega, scrofolosi,ecc.), a partire dal diciannovesimo secolo la pianta venne bandita quasi del tutto dalle cure mediche e dichiarata tossica soprattutto a causa della sua capacità di liberare acido cianidrico che inibisce l'ossigenazione dei tessuti.

La bellezza e la grazia delle sue fattezze ha da sempre reso all'Aquilegia notorietà fra gli artisti. Oltre alla già citata sublime 'Primavera' del Botticelli, resta immortalata nel 'Giardino del Paradiso' del Maestro dell'Alto Reno e in altre eminenti opere quattrocentesche quali il 'Trittico Portinari' di Hugo Van der Gaes nonché in uno splendido arazzo francese del XVI° secolo, detto del 'Liocorno prigioniero in un giardino dai mille fiori'.


( Gloria Tarditi sul 'Dragone' aprile 2021)






mercoledì 28 aprile 2021

DIVERTISSEMENT

 

Come se fosse un fiore


Sfoglio il mio tempo

come se fosse un fiore

a volte velenoso

a volte profumato


lo intingo nel colore

più intenso o già sfumato

dal giallo al rosso e blù

oppur tutto rosato

del nero non mi curo

se bianca è la corolla

rivolta verso il sole

immersa in una polla


il verde resta al gambo

e i petali van piano

leggeri ormai galleggiano

qualcuno va lontano

altri scendono giù

piegati nella mano.


( domenica 27 dicembre 2020 in progress 4 ottobre 2021)


martedì 9 marzo 2021

Del giardino eterno... mille fiori


" I fiori e la frutta sono metafore del desiderio...il sentore del limone è il gusto della vita"
(Andrè Aciman al Circolo dei lettori - Torino, marzo 2021)

martedì 9 febbraio 2021

Bianca la rosa che sorrise al vento




Bianca la rosa che sorrise al vento

mai resistette a così lungo assedio

nella fronda d'amore

Venne una notte che la luna punse

gocce di stelle trasmutavan tardi

brinava l'alba su di un vetro infranto

Musiche lente

mute parole

opache foglie

spine di fumo

odori ed ombre in nascoste vite

tralci d'incanto

cicale insonni

senza più verde

A un'alba chiara sopraggiunse il sole

senza tempesta

nubi di gelo

nebbie incolori

Incerto volo verso la luce

Dentro al respiro

libere voci

occhi di pane

sorrisi schiusi aride mani

giovani rivi

timide sponde

lungo la strada del non ritorno

(per Lidia nella 'Giornata della Memoria' 2020)




martedì 5 gennaio 2021

IL CALENDARIO DEGLI ALBERI, MITICI ANTENATI DEGLI UOMINI



C'era un tempo in cui gli uomini videro negli alberi i propri antenati pensando di originare addirittura da essi e li venerarono come Dei non solo per i doni di cui potevano fruire - frutti, fiori, foglie, legno, riparo dal caldo e dal freddo - ma soprattutto perché dagli alberi si ricavava nutrimento, rimedi contro le malattie e i principi di ogni sapere, terrestre e soprannaturale. I boschi e le foreste erano luoghi di vita animale e umana, antiche metropoli naturali dove ebbe inizio lo sviluppo di ogni civiltà e cultura. A partire dal calendario degli Alberi, una sorta di compendio di tutte le conoscenze possibili, uno di quei sistemi mnemonici indispensabili nelle civiltà di tradizioni orali, in uso sia nel mondo classico dei Greci e dei Latini sia nelle popolazioni barbare d'Europa, in particolare dei Celti. Basato sull'anno lunare di tredici mesi in cui ogni mese è di ventotto giorni come il nostro febbraio, unico sopravvissuto forse perché coincidente col momento delle grandi purificazioni precedenti l'equinozio di primavera. Da qui sarebbe ripartito il ciclo della fertilità e della rinascita della natura, per un totale di successivi 364 giorni attribuiti, a seconda del periodo, a un certo tipo di albero. Ce lo riporta uno dei maggiori studiosi della materia, lo scrittore francese Jacques Brosse, autore di importanti opere in merito a quel calendario da lui definito una 'enciclopedia selvaggia' per la molteplicità dei contenuti culturali in esso racchiusi:

dal 24 dicembre al 20 gennaio alla Betulla o Beth

dal 21 gennaio al 17 febbraio al Sorbo o Luis

dal 18 febbraio al 17 marzo al Frassino o Nion

dal 18 marzo al 14 aprile all'Ontano o Fearn

dal 15 aprile al 12 maggio al Salice o Saile

dal 13 maggio al 9 giugno al Biancospino o Hath

dal 10 giugno al 7 luglio alla Quercia o Duir

dall'8 luglio al 4 agosto all'Agrifoglio o Tinne

dal 5 agosto al 1 settembre al Nocciolo o Coll

dal 2 settembre al 29 settembre alla Vite o Muin

dal 30 settembre al 27 ottobre all'Edera o Gort

dal 28 ottobre al 24 novembre al Tiglio o Peith

dal 25 novembre al 22 dicembre al Sambuco o Ruis

il 23 dicembre (vigilia del solstizio d'inverno) al Tasso o Idho (l'albero della morte)

il 24 dicembre (solstizio d'inverno) all'Abete rosso o Ailm (l'albero del parto).

E' evidente il significativo scorporo di queste due date, apposta per sottolinearne l'importanza. Due giorni consecutivi che indicano rispettivamente la fine e la ripresa del ciclo naturale apportatore di fertilità per la vegetazione e di fecondità per animali e uomini. Indissolubilmente legati al moto solare e alla luce, pilastri di un'antica sapienza anticipatrice delle scienze moderne che, nell'osservazione e nella misura, hanno segnato il tracciato verso la cognizione attuale del mondo che ci circonda e non solo. Dalle scienze alle lettere: l'Abete rosso o Ailm con l'iniziale 'A' apre l'anno ma anche l'Alfabeto, così come le altre quattro vocali legate a quegli alberi scelti per segnare i passaggi celesti. La 'E' di Eadha (Pioppo bianco) per l'equinozio d'autunno, la 'I' di Idho (Tasso) per chiudere l'anno solare, la 'O' di Onn (Ginestra o Ginestrone) per l'equinozio di primavera e la 'U' di Ura (Erica) per il solstizio d'estate.

Va da sé che nel calendario dei Greci molti degli alberi tipicamente nordici erano sostituiti da specie mediterranee: invece dell'Ontano era il Corniolo di Cronos - dio del tempo, il Biancospino era sostituito dal Pero di Era, l'Agrifoglio dal Leccio di Pan - dio della Natura, il Nocciolo o Corilo dal Noce di Core-Persefone, il Sambuco dal Mirto di Afrodite - dea della Bellezza e al posto della Betulla, all'inizio dell'anno, c'era l'Olivo di Atena - dea della sapienza.

E proprio delle betulle, in una delle sue più belle poesie, Alda Merini (1931-2009) immagina“Tu non sai: ci sono betulle che di notte levano le loro radici,/e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano/ o diventano sogni./ Pensa che in un albero c'è un violino d'amore./ Pensa che un albero canta e ride./ Pensa che un albero sta in un crepaccio/ e poi diventa vita./ Te l'ho già detto: i poeti non si redimono,/ vanno lasciati volare tra gli alberi/ come usignoli pronti a morire”.

Dunque il ricordare la grande presenza degli alberi, non solo nel passato ma tutt'ora nell'inconscio collettivo, non è un'operazione nostalgica. E' semmai un richiamo al rispetto per i nostri amici verdi, abitanti del pianeta sempre meno considerati e pertanto abbattuti senza pietà spesso in modo dissennato. Magari per far posto al cemento e a costruzioni assai più remunerative per i proprietari di quei terreni strappati alla loro naturale destinazione con scopi certo meno nobili del giusto bisogno di case, scuole, edifici pubblici, strade e altro, di cui l'architettura ci ha nei secoli meritatamente dotati.