domenica 23 maggio 2021

AQUILEGIA, il fiore della Regina Giovanna


 



L' AQ


'Uno dei fiori più delicati e graziosi delle nostre Alpi', come venne definita da un insigne botanico, l'Aquilegia la vedemmo per la prima volta in natura, non in giardino, ma nel fresco e umido sottobosco di pini e faggi scollinando dalla Val Pesio verso Peveragno. Era d'estate e ci sorprese una scoperta così rara: una varietà rosata, talmente preziosa che non sembrava potesse appartenere alla flora selvatica.

Con sepali e petali ricercati, cesellati come gioielli, amatissima da pittori, uno fra tutti il Botticelli, con colori dal rosa al viola attraverso tonalità varie di azzurri, presente qui soprattutto nelle varietà 'vulgaris' e 'alpina'. Quest'ultima, ormai rara, è diffusa soltanto nell'arco alpino occidentale, sostenuta da interventi europei a favore della biodiversità diretti a preservare la specie migliorandone l'habitat naturale, per la conservazione e lo studio dei semi.

Bella si erge l'aquilegia / e china il suo capo” cantava Goethe. Una gioia per gli occhi e un'emozione per l'anima anche il suo nome, Aquilegia, un che di magico e esoterico per la similitudine con quello della regina dei rapaci. L'Aquila, a cui rimanda il portamento fiero degli steli eretti e ramificati che reggono le corolle con rostri disegnati nelle arcuate forme dei petali.

Della famiglia delle Ranunculaceae questa erbacea perenne fiorisce da maggio e per tutta la tarda estate, talvolta fino a ottobre; le sue foglie a rosetta quando si allargano ricordano le zampe di un palmipede, oca o rana. Per restare nel fiabesco, così come ci suggeriscono certe meravigliose comparazioni, il nostro immaginario si connette alla fantasia popolare attingendo al mito di Giovanna d'Angiò, la regina che lasciò un forte segno nelle terre occitane, dalle Alpi Cozie alla Provenza, ma che forse mai attraversò le nostre valli. Donna di straordinaria bellezza e intelligenza trasgressiva, venne poeticamente accostata ad un'aquila. Da qui la ballata di un anonimo trovatore ' ...L'aigla tournaivo – soubra la mountagno, sous li passaivo – nostro reina Jano...'. E come in tutte le favole raccontate dal folclore, in ogni figura mitica si cela il mistero: nel caso di Giovanna, come si tramandata in quel di Boves, si trattava del suo piede d'oca o di rospo, stigmate di stregoneria, attributo che si legava indissolubilmente alla figura di donna forte e indipendente quale era. La reina Jana, abbreviata in Rana, di cui si scorge la presenza in alcuni toponimi come Valle della rana o Garb d'la rèino Jano che indicano luoghi e percorsi come via degli Angioini. In Val Maira restano tracce della leggendaria Giovanna, qui narrata come 'fata buona' quando, con lo strascico del suo regale manto, porta il verde e i fiori della primavera alla comba di Marmora. Meno generosa laddove, respinta dalle loro terre, condanna gli abitanti dell'Arbarè a patire la sete.

Altro etimo da cui far derivare il misterioso nome dell'Aquilegia è dovuto alla forma della sua corolla simile a un piccolo bicchiere che quando piove si riempie d'acqua, dal latino 'acquam legere' e 'acquilegium' serbatoio d'acqua. Qualcuno vi intravede perfino un copricapo da giullare e molti altri significati vengono attribuiti a questa pianta anche detta Aquilina,Colombina,Cornetta, Aquilantina, Amor nascosto e Amor perfetto. Per queste ultime due diciture gioca nel primo caso il fatto che gli insetti pronubi debbano infilarsi con fatica lacerando addirittura i sepali per suggerne il nettare, mentre nel secondo intervengono altre interpretazioni di filosofi e scrittori. Ceronetti ne immagina addirittura un malioso incompleto acrostico (manca la A finale) 'Amorosa/Quintessenza/Ultima/Intera/Luminosa/Entità/Giovinezza/Immortale'.

Da tutte queste suggestioni si deduce il perché della sua antica fama di erba afrodisiaca e di come quella forma di becco o di artigli d'aquila abbia indotto nel passato molti naturalisti, seguaci della 'dottrina delle segnature', a individuare nell'Aquilegia il rimedio principe per la vista, tale da renderla acuta come quella del rapace. Fra le antesignane di questa ricerca la monaca visionaria Ildegarda de Bingen, filosofa e botanica medievale, che descrisse l'Aquilegia come 'fredda'.

Dopo innumerevoli prescrizioni, nel Medioevo e nei secoli successivi, per le più svariate e oggi quasi sconosciute disfunzioni (selega, scrofolosi,ecc.), a partire dal diciannovesimo secolo la pianta venne bandita quasi del tutto dalle cure mediche e dichiarata tossica soprattutto a causa della sua capacità di liberare acido cianidrico che inibisce l'ossigenazione dei tessuti.

La bellezza e la grazia delle sue fattezze ha da sempre reso all'Aquilegia notorietà fra gli artisti. Oltre alla già citata sublime 'Primavera' del Botticelli, resta immortalata nel 'Giardino del Paradiso' del Maestro dell'Alto Reno e in altre eminenti opere quattrocentesche quali il 'Trittico Portinari' di Hugo Van der Gaes nonché in uno splendido arazzo francese del XVI° secolo, detto del 'Liocorno prigioniero in un giardino dai mille fiori'.


( Gloria Tarditi sul 'Dragone' aprile 2021)