C'era un tempo in cui gli uomini videro negli alberi i propri antenati pensando di originare addirittura da essi e li venerarono come Dei non solo per i doni di cui potevano fruire - frutti, fiori, foglie, legno, riparo dal caldo e dal freddo - ma soprattutto perché dagli alberi si ricavava nutrimento, rimedi contro le malattie e i principi di ogni sapere, terrestre e soprannaturale. I boschi e le foreste erano luoghi di vita animale e umana, antiche metropoli naturali dove ebbe inizio lo sviluppo di ogni civiltà e cultura. A partire dal calendario degli Alberi, una sorta di compendio di tutte le conoscenze possibili, uno di quei sistemi mnemonici indispensabili nelle civiltà di tradizioni orali, in uso sia nel mondo classico dei Greci e dei Latini sia nelle popolazioni barbare d'Europa, in particolare dei Celti. Basato sull'anno lunare di tredici mesi in cui ogni mese è di ventotto giorni come il nostro febbraio, unico sopravvissuto forse perché coincidente col momento delle grandi purificazioni precedenti l'equinozio di primavera. Da qui sarebbe ripartito il ciclo della fertilità e della rinascita della natura, per un totale di successivi 364 giorni attribuiti, a seconda del periodo, a un certo tipo di albero. Ce lo riporta uno dei maggiori studiosi della materia, lo scrittore francese Jacques Brosse, autore di importanti opere in merito a quel calendario da lui definito una 'enciclopedia selvaggia' per la molteplicità dei contenuti culturali in esso racchiusi:
dal 24 dicembre al 20 gennaio alla Betulla o Beth
dal 21 gennaio al 17 febbraio al Sorbo o Luis
dal 18 febbraio al 17 marzo al Frassino o Nion
dal 18 marzo al 14 aprile all'Ontano o Fearn
dal 15 aprile al 12 maggio al Salice o Saile
dal 13 maggio al 9 giugno al Biancospino o Hath
dal 10 giugno al 7 luglio alla Quercia o Duir
dall'8 luglio al 4 agosto all'Agrifoglio o Tinne
dal 5 agosto al 1 settembre al Nocciolo o Coll
dal 2 settembre al 29 settembre alla Vite o Muin
dal 30 settembre al 27 ottobre all'Edera o Gort
dal 28 ottobre al 24 novembre al Tiglio o Peith
dal 25 novembre al 22 dicembre al Sambuco o Ruis
il 23 dicembre (vigilia del solstizio d'inverno) al Tasso o Idho (l'albero della morte)
il 24 dicembre (solstizio d'inverno) all'Abete rosso o Ailm (l'albero del parto).
E' evidente il significativo scorporo di queste due date, apposta per sottolinearne l'importanza. Due giorni consecutivi che indicano rispettivamente la fine e la ripresa del ciclo naturale apportatore di fertilità per la vegetazione e di fecondità per animali e uomini. Indissolubilmente legati al moto solare e alla luce, pilastri di un'antica sapienza anticipatrice delle scienze moderne che, nell'osservazione e nella misura, hanno segnato il tracciato verso la cognizione attuale del mondo che ci circonda e non solo. Dalle scienze alle lettere: l'Abete rosso o Ailm con l'iniziale 'A' apre l'anno ma anche l'Alfabeto, così come le altre quattro vocali legate a quegli alberi scelti per segnare i passaggi celesti. La 'E' di Eadha (Pioppo bianco) per l'equinozio d'autunno, la 'I' di Idho (Tasso) per chiudere l'anno solare, la 'O' di Onn (Ginestra o Ginestrone) per l'equinozio di primavera e la 'U' di Ura (Erica) per il solstizio d'estate.
Va da sé che nel calendario dei Greci molti degli alberi tipicamente nordici erano sostituiti da specie mediterranee: invece dell'Ontano era il Corniolo di Cronos - dio del tempo, il Biancospino era sostituito dal Pero di Era, l'Agrifoglio dal Leccio di Pan - dio della Natura, il Nocciolo o Corilo dal Noce di Core-Persefone, il Sambuco dal Mirto di Afrodite - dea della Bellezza e al posto della Betulla, all'inizio dell'anno, c'era l'Olivo di Atena - dea della sapienza.
E proprio delle betulle, in una delle sue più belle poesie, Alda Merini (1931-2009) immagina“Tu non sai: ci sono betulle che di notte levano le loro radici,/e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano/ o diventano sogni./ Pensa che in un albero c'è un violino d'amore./ Pensa che un albero canta e ride./ Pensa che un albero sta in un crepaccio/ e poi diventa vita./ Te l'ho già detto: i poeti non si redimono,/ vanno lasciati volare tra gli alberi/ come usignoli pronti a morire”.
Dunque il ricordare la grande presenza degli alberi, non solo nel passato ma tutt'ora nell'inconscio collettivo, non è un'operazione nostalgica. E' semmai un richiamo al rispetto per i nostri amici verdi, abitanti del pianeta sempre meno considerati e pertanto abbattuti senza pietà spesso in modo dissennato. Magari per far posto al cemento e a costruzioni assai più remunerative per i proprietari di quei terreni strappati alla loro naturale destinazione con scopi certo meno nobili del giusto bisogno di case, scuole, edifici pubblici, strade e altro, di cui l'architettura ci ha nei secoli meritatamente dotati.
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