domenica 20 dicembre 2020

STOPPIE

 



Coi piedi nella neve

lontane dalle stelle

aspettano un'altra tormenta

che le seppellisca per sempre

loro ormai senza frutti

ultimo retaggio

di ciò che è stato

di una vita finita

dentro a un robot d'acciaio

che ha tagliato

chi più chi meno

non uno sguardo

non una scelta

non un destino

restare ancora un po'

figure sconfitte non finite

croci scure

in piedi barcollanti

nere di paura

e un ricordo almeno

di verdi foglie e

dorate pannocchie

di grossi grani turgidi

di foglie mosse al vento

di nidi nascosti e

uccelli timidi a sfiorarle

un attimo di blu

e poi il bianco

senza profumo

il bianco assoluto

G.T.


lunedì 7 dicembre 2020

John my Love


40 anni fa, l'otto dicembre 1980, John Lennon venne assassinato a New York ma la sua musica rimarrà per sempre nei nostri cuori come messaggio di pace amore e speranza universale! Thank you John my love❤

«L'esplosione del dolore, della sorpresa e della devastazione collettiva che ha seguito la morte di Lennon ha avuto la stessa risonanza ed intensità della reazione all'uccisione di una figura di statura mondiale: un politico audace e popolare come John o Robert Kennedy, o un leader spirituale, come Martin Luther King. Ma Lennon era una creatura di poetica metafora politica, e la sua coscienza spirituale era diretta verso l'interno, come un modo per nutrire ed ampliare la propria forza creativa. Ecco cosa ha creato sconcerto, e fatto la differenza, lo shock della perdita della sua immaginazione, delle tracce penetranti e pervasive del suo genio, ed è stata proprio la perdita di tutto ciò, in modo così brusco e terribile, che è stata pianta la scorsa settimana in tutto il mondo».
— Jay Cocks, Time, 22 dicembre 1980[39]

domenica 22 novembre 2020

Ciao Mamma, ti ricordo in un giorno di sole

 

Ciao Mamma, ti ricordo in un giorno di sole!




Oggi 22 novembre è il giorno più brutto dell'anno da quando te ne sei andata inaspettatamente nel 1976. Senza la tua dolcezza, la tua pazienza e la tua generosità ci è mancata la radice e il ceppo, papà non ce l'ha fatta e ti ha raggiunto dopo soli nove mesi. A fine aprile avresti compiuto100 anni. Come saremmo stati felici di festeggiarti e chissà quante prelibatezze ci avresti ancora preparato tu che eri l'indiscussa regina del buon cibo' ! Voglio ricordarti così come ti ho vista sempre, bella e giovane... tu che vecchia non sei riuscita a diventare. Mentre sorridi alla vita nel luglio del '48, io non avevo ancora iniziato le elementari e mi avevi portato al mare con te. Eravamo a Alassio e avevi quel meraviglioso vestito bianco un po' cinematografico, con delle figurine stilizzate che mi facevano passare il tempo a immaginare delle storie. Una di esse mi sembrava una ragazza col cagnolino al guinzaglio che adesso non riesco più a vedere. Forse erano solo fantasie di una bimba desiderante, così l'anno seguente per la promozione ebbi in dono un barboncino nero, Bambi.

Sono passati 44 anni e ho imparato abbastanza dalla vita, nel bene e nel male, ma mi accorgo che ancora tanto avrei da chiederti e tanto da raccontarti. A dopo! Gloria


giovedì 12 novembre 2020

La sera è ormai notte


Chiara è una cantautrice genovese che ha iniziato a far musica molto presto, mi pare a quattordici anni, e perciò, pur essendo ancor giovane, ha già alle sue spalle una grande esperienza artistica confortata da riconoscimenti di pubblico e critica a livello nazionale. La prima volta che la sentimmo cantare eravamo nell'antico borgo ligure dove trascorriamo molto tempo della nostra vita. Era venuta ad abitare lì da poco e non l'avevamo mai vista prima ma fummo incantati dalla sua splendida voce che usciva dalla finestra di una di quelle tipiche case di pietra. Ci fermammo ad ascoltarla sul 'terruzzo' che si affaccia sul mare in una notte estiva piena di stelle. Una magia che pareva destinata a non ripetersi pensando si trattasse di una musicista di passaggio in vacanza nel paese che attrasse miti come Luciano Berio e Cathy Berberian oltre ad altri grandi della musica. Chiara invece si sarebbe fermata proprio lì per amore di Giacomo, ma anche per Lingueglietta a cui ha dedicato una delle sue più belle poesie canore 'Tra le foglie'. Col tempo è nata una vera amicizia e siamo stati molto lieti di ospitare in casa nostra  la registrazione del suo 'Grigiocielo' partecipando al suo crowdfunding. In quella circostanza ci ha chiesto di scrivere qualcosa per la sua musica. Abbiamo pensato ad una poesia nel cassetto che Fulvio aveva scritto per me poco tempo prima del nostro matrimonio. 'La sera è ormai notte' è diventata  una meravigliosa canzone musicata da Chiara che ha anche aggiunto del suo al testo originario. Devo dire che anche la location in cui è stato girato il video appena uscito, il bosco di  Rezzo, oltre ad essere in sintonia con 'i colori dell'autunno' del testo, è diventato uno scenario magico nelle immagini e per la regia di Lilith Cagliostro. Grazie Chiara di questo dono particolare che solo la tua arte ha reso condivisibile e addirittura cantabile come mai avremmo immaginato di fare.💖💖

lunedì 9 novembre 2020

Anima in fiore




💚 Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici, sono gli affascinanti giardinieri che rendono la nostra anima un fiore.

(Marcel Proust)

sabato 31 ottobre 2020

A chi non c'è più

 +



Ti amerò come le praterie amano la primavera

e vivrò in te la vita di un fiore

sotto i raggi del sole.

GILBRAN

sabato 10 ottobre 2020

Louise Gluck, il Nobel alla poesia della solitudine

"Guardiamo il mondo una volta, da piccoli. Il resto è memoria."

 Claudio Giunta

http://www.claudiogiunta.it

Una poesia molto bella di Louise Glück, premio Nobel per la

letteratura 2020 (dall'antologia "Lettere al futuro")

Di Claudio Giunta

Con Nora Calzolaio e Bianca Barattelli (e molti altri aiutanti, a cominciare dalla redazione di DeAgostini Garzanti

Scuola) abbiamo fatto una antologia per il biennio delle scuole superiori. Si intitola "Lettere al futuro". La sezione

che s'intitola "10 poesie molto belle, più una" si apre con una poesia (molto molto molto bella, infatti) di Louise

Glück, che ha appena vinto il Nobel. Eccola, con un mini-commento molto didattico.

Louise Glück, Nostos

C’era un melo nel cortile –

saranno forse

quarant’anni fa – dietro,

solo prati. Ciuffi

di croco nell’erba umida.

Stavo a quella finestra:

fine aprile. Fiori di primavera

nel cortile del vicino.

Quante volte, davvero, l’albero

è fiorito nel giorno del mio compleanno,

il giorno esatto, non

prima, non dopo? L’immutabile al posto

di ciò che si muove, di ciò che evolve.

L’immagine al posto

della terra inarrestabile. Che cosa

so di questo luogo,

il ruolo dell’albero per decenni

preso da un bonsai, voci

che vengono dai campi da tennis –

Terreni. L’odore dell’erba alta, tagliata di fresco.

Quello che uno si aspetta da un poeta lirico.

Guardiamo il mondo una volta, da piccoli.

Il resto è memoria.

There was an apple tree in the yard --

this would have been

forty years ago -- behind,

only meadows. Drifts

of crocus in the damp grass.

I stood at that window:

late April. Spring

flowers in the neighbor's yard.

How many times, really, did the tree

flower on my birthday,

the exact day, not

before, not after? Substitution

of the immutable

for the shifting, the evolving.

Substitution of the image

for relentless earth. What

do I know of this place,

the role of the tree for decades

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mercoledì 26 agosto 2020

Cesare Pavese Le piante del lago


Cesare Pavese il più grande ...se n'è andato in silenzio in un giorno di fine agosto di settant'anni fa..
Le sue opere lo rendono eterno!

martedì 11 agosto 2020

La Ginestra, fiore della luce solare


ginestre in fiore lungo la via per sant'Antonio (Cipressa)


Per gli antichi Celti rappresentava il sole nell'equinozio di primavera. E ben lo capisce chi abbia percorso un sentiero fra le ginestre in un giorno sereno, per quel senso di immersione totale nella luce solare incarnata in un giallo talmente intenso da abbacinare lo sguardo. I graziosi fiori, ricercati dalle api, posano su eleganti fusti stilizzati e senza foglie, graficamente puri, composti in mazzi rustici di grande leggiadria pur nella loro selvaticità, emanando una fragranza lieve e penetrante, il profumo del sole e dell'estate.

Fin dai tempi antichi la Ginestra o Genista era assai nota negli usi popolari, non tanto alimentari (perché parzialmente tossica a causa di alcuni suoi alcaloidi, in particolare la sparteina) bensì artigianali quali l'uso tintorio o per ricavarne le fibre per corde o sacchi, indumenti, calzature e scope (nella tradizione nordica erano di ginestra le scope delle streghe). Il Mattioli, scienziato senese del sedicesimo secolo, elenca tra gli scopi non medicinali della pianta anche quelli di far da esca al fuoco dei 'villani' e di essere utile per 'legar le vigne' .

Delicata da maneggiare in medicina (non certo adatta ad un familiare 'fai da te') per la pericolosità di alcuni suoi componenti tra i quali una particolare resina dalle proprietà vasocostrittrici, chiamata un tempo 'adrenalina vegetale', che aumenta la pressione arteriosa. Pertanto solo su prescrizione medica può essere utilizzata come tonicardiaco, diuretico, purgativo, antivelenoso. A conferma di quest'ultimo uso, è curioso ricordare come nell'antichità i pastori avessero notato che le pecore morse dalle vipere restavano indenni se avevano brucato la ginestra. Meno problematico l'utilizzo del ginestrino anche detto ginestrina, trifoglio giallo a cui vengono attribuite capacità sedative simili a quelle della passiflora.

E' proprio dal celtico 'gen' ovvero 'cespuglio' che origina il suo nome associato alla stirpe angioina dei Plantageneti (da 'planta genista' nome medioevale della ginestra) di cui cui si ricorda Goffredo il Bello che ne portava sul cappello un ramoscello. E ancora, sempre tra leggenda e storia, un altro Plantageneto Goffredo V Duca d'Angiò, fondatore della stirpe per aver inserito questa pianta nel suo stemma, pare espiasse la propria colpa di fratricidio fustigandosi con rami di ginestra. Mentre nel 1234 san Luigi fondò in Francia l'Ordine della ginestra col motto 'Dio innalza gli umili', che allude con evidenza alla propensione e alla capacità di questa leguminosa di vivere e prosperare in terreni sassosi, aridi e scoscesi, poveri di acqua e di sostanze nutrienti. Icona di valori come resilienza, forza e dignità, da qui tutta una serie di simboli araldici che si rifecero alle virtù di questa pianta, anche nei secoli successivi.

Consacrata nella letteratura da Giacomo Leopardi “Tuoi cespi solitari intorno spargi, / Odorata ginestra, / Contenta dei deserti.” Allegoria senza tempo, attualizzata dalla pandemia che ci affligge, quella del 'fior gentile' che, senza pretese, si adatta alle difficoltà abbarbicandosi a quel poco che trova. Un travalicare la desolazione dell'esistenza, nonostante la fragilità delle condizioni esterne, con la soavità del profumo e della luminosità che questa pianta solare riesce a espandere verso il cielo e verso l'alto.

Distinguere tra le numerosissime specie indicate come Ginestre sarebbe arduo ma tra di esse meritano una citazione almeno quelle, così connotate, che abbondano comunemente lungo le nostre zone alpine e prealpine, sia sul versante interno che in quello che guarda il mare. Ed è proprio lungo quest'ultimo che, largamente naturalizzata e in espansione, troviamo la rustica e robusta Ginestra comune anche nota come Ginestra odorosa o di Spagna (Spartium junceum) dall'aspetto nudo perché le sue foglie cadono poco dopo esser spuntate, mentre altre colonie di Fabaceae spontanee ci mostrano la Ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius) dai fiori un po' più grandi, usato per fare scope o legna e carbone, diffusa anche in Alta Langa; la Ginestra genovese (Genista januensis) dalla fioritura precoce e distinguibile per i giovani fusti triangolari, nonchè l'inconfondibile Sparzio spinoso (Calicotome spinosa) impenetrabile perché, lo dice il nome, spinosissimo quanto il cosiddetto Ginestrone (Ulex europaeus) re dei prati e degli incolti, usato un tempo come combustibile. In Liguria le ginestre vengono chiamate indistintamente anche Ciantagalettu (Cantagalletto), forse per l'aspetto del fiore vagamente riconducibile a cresta e bargigli. Un' attenzione particolare merita la Ginestra cenerina (Genista cinerea) così chiamata per l'aspetto conferitole da un'impercettibile peluria di cui è ricoperta: questa specie diffusa nell'area mediterranea (Provenza e Ponente ligure) si estende in Piemonte, tra le Alpi Marittime e le Cozie meridionali, nel nostro meraviglioso territorio naturalistico (lo Viol dal Genisté a San Michele di Prazzo) considerato il più a nord d'Europa per questa leguminosa. Altre varietà che si rifanno alle Genisteae, a volte anche erbacee, ginestrelle e ginestrini, presenti in collina e in montagna, oltre al classico giallo oro, variano per le colorazioni che vanno dal bianco al lilla, dal rosa al rosso corallo, di grande effetto decorativo nei giardini all'inglese.


(Gloria Tarditi per 'di fiore in fiore' su Dragone del luglio 2020)










venerdì 7 agosto 2020

Summertime


"Non c'è che una stagione : l'estate.
Tanto bella che le altre le girano attorno.
L'autunno la ricorda, l'inverno la invoca,
la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla"

(Ennio Flaiano)

mercoledì 8 luglio 2020

Ennio Morricone nel suo Paradiso




Buon viaggio Maestro verso quel Paradiso che ci avevi già fatto intravvedere nelle tue straordinarie musiche!

martedì 7 luglio 2020

Risveglio d'estate



questa mattina...mi son svegliata...e ho trovato...questo sol!
(da cantare sull'aria di Bella ciao!!)

martedì 23 giugno 2020

I MAZZOLINI 'portafortuna' di SAN GIOVANNI




Il racconto dei mazzolini di erbe usati per propiziare la sorte e allontanare il malocchio ha radici antiche legate ancor prima del San Giovanni, grande ricorrenza di ogni estate, innesto cristiano di riti pagani dedicati al sole. Si festeggia pochi giorni dopo il solstizio, la giornata più lunga dell'anno che cade il 20, come quest'anno, o il 21 giugno. E' proprio in questo breve lasso di tempo, tre/quattro giorni durante i quali il sole sembra 'sostare nel cielo' all'apice del suo ciclo, che l'effetto benefico dei suoi raggi su piante e fiori si fa più potente.

Nel calendario contadino il momento magico era dato anche da quella che veniva detta Luna delle erbe o Luna d'estate, in corrispondenza al novilunio del mese di giugno, una congiunzione astrale foriera di energie rigeneratrici per la terra ma soprattutto per quelle erbe, e sono la maggior parte, il cui tempo balsamico cade proprio nel periodo solstiziale. Ed è proprio in quel mitico incontro di sole e luna che le piante, officinali e medicinali, sembrano esprimere al massimo i propri aromi e presentano la più alta concentrazione di principi attivi in esse contenuti.

La notte della vigilia, ritenuta magica fin dall'antichità e preludio alla Festa in cui tutte le energie della luce e del fuoco, delle acque e dell'aria diventano sinergiche, momento di grande fertilità per uomini, animali, lo è soprattutto per la vegetazione protagonista di svariati riti. L'erba vecchia vien bruciata attraverso i suggestivi falò o fungalere che illuminano la notte sulle colline prealpine, mentre le erbe nuove, raccolte al massimo della loro valenza energetica e al meglio delle loro virtù curative, assumono una valore aggiunto diventando benauguranti di abbondanza, ricchezza e fortuna, vere e proprie difese dai più temuti guai della vita, almeno per un anno intero.

Si diceva che il mondo femminile potesse avvalersi delle ‘Erbe di San Giovanni ’ per ogni esigenza. Nei tempi passati le giovani spose, proprio la mattina di San Giovanni, si aggiravano nude per i campi per rotolarsi nell'erba intrisa di rugiada, certe che questo bagno nella natura le avrebbe rese più fertili e capaci di generare prole con maggior facilità. Per le ragazze nubili era usanza porne un mazzetto sotto il cuscino la sera della festa per ottenere sogni profetici e presagi sul futuro amoroso e degli affetti in genere.

Di solito il mazzolino 'portafortuna' era scaramanticamente composto da erbe in numero dispari , mediamente di sette o nove, reperibili in loco. Non poteva mancare il luminoso Iperico (Hypericum perforatum L.) dai fiori a cinque petali di un impareggiabile giallo splendente, l’Erba di San Giovanni per antonomasia, molto usato nella medicina popolare perché ricco di molteplici proprietà toniche, stimolanti e antidepressive superiori a quelle dei più noti farmaci di sintesi. La Lavanda o Lavandula spica, nome che deriva dall'uso di aggiungerla all'acqua in cui lavarsi, amante dei terreni sassosi e aridi nelle Alpi Marittime, nel Cuneese e in Provenza, con i minuti fiori blu-violetti da essiccare per profumare la biancheria, anche detta Spighetta di San Giovanni, calmante e antisettica. E poi tra le altre aromatiche del luogo, la Mentuccia, digestiva e lievemente afrodisiaca, la Verbena, antidolorifica e per facilitare il parto, la Camomilla selvatica, lenitiva e schiarente per capelli. Malva, Salvia, panacea di ogni male di cui si dice 'come può morire chi ha la salvia nel proprio orto?', Viola e Rosmarino, annoverate anche tra le erbe per “l'acqua di San Giovanni” che le nonne preparavano esponendo alla luna, in una bacinella con acqua di sorgente, fiori e foglie per ottenere, nella notte miracolosa, salute, bellezza, fecondità e lunga vita. Sempre dedicate al Santo, da cui prendono anche il nome, l’Artemisia comune (Arthemisia vulgaris) o Corona di San Giovanni e l'Arthemisia Absinthium, più nota col nome di Assenzio (detta anche Cinto de San-Jan) dalle proprietà sedative della quale si narra che fosse stata donata alle donne da Artemide per regolarne il ciclo e aiutarle nei parti difficili, invece vietata alle puerpere durante l'allattamento perché conferiva al latte un sapore sgradito ai neonati. L’Edera terrestre (Hedera Helix) o Cinghia di San Giovanni, rampicante comune su muri, rupi e tronchi d'alberi con nere bacche velenose, adoperata solo per uso esterno in pomate e tinture per capelli, o per rafforzare i legami amorosi, nascosta sotto il letto matrimoniale assicurava ai coniugi eterna fedeltà reciproca. E infine l'elegante e misteriosa Felce (Dryopteris filix-mas)) che, pur priva di infiorescenze, è nota nella leggenda come il mitico 'fiore d'oro' della notte di San Giovanni: i suoi semi porterebbero ricchezza e abbondanza a chi li trova o addirittura aiuterebbero a scoprire un tesoro.





















sabato 20 giugno 2020

Rosa al solstizio





Giugno la vide
e se ne innamorò,
luglio la colse
per intrappolarla,
agosto schiuse
nei rami di sabbia,
settembre volse
la sua volta al cielo,
ottobre a pezzi
non poté sognarla,
novembre un giglio
rubò di conchiglia,
né mai dicembre
come gennaio
mesi di ghiaccio
lenir speranza,
febbraio e marzo
la luna nuova,
rosa d'aprile
senza un perché,
poi maggio bianco
rivolle ancora
finir la danza
d'un sogno al sole.

(Aleluyas de Iunio)



mercoledì 3 giugno 2020

Papaveri di Claude Monet

Torna il Papavero tutto 'seta e fuoco'



Dopo anni in cui se ne era persa traccia a causa dei diserbanti, i rossi papaveri son tornati nuovamente a infestare festosamente i nostri campi! Meno fitti e invasivi di quando eravamo bambini, e nemmeno folti come li dipinse Monet (era il 1873) leggiadri e scossi dal vento ad Argenteuil. Meglio che niente, purché il nostro amatissimo papavero, il Papaver rhoeas L. “intensamente semplice, intensamente floreale, tutto seta e fuoco” come lo descrisse John Ruskin, sia di nuovo discretamente presente e ci rassicuri che l'estate, nonostante i disastri climatici, è sempre 'la bella stagione'. Assai rari i papaveri bianchi o viola-rosati, rarissimi i gialli delle specie 'P.alpinum', sono invece i comuni papaveri selvatici a prendersi la scena tra luglio e agosto. Con impalpabili corolle rosso fuoco a quattro larghi petali macchiati di scuro dai tanti stami nerobluastri, ondeggiano sui pelosi fusti colmi di lattice tingendo di allegria i terreni più poveri e i campi assolati. Anche noti come rosolacci, 'li rousello fan faire de gros iòu i galino' si diceva in Languedoc ai tempi di Mistral, e anche paraplèu. In occitano anche 'Donno' (Sampeyre) con alcune varianti nelle varie vallate alpine: Dono, Madono (Aisone), Bela dona (Argentera), Madonna, Madonne, Fiore della madonna (Chiomonte), Dona (Entracque), Cara madonno (Monte Rosso Grana), Signora (Novalesa), Madone rosse (Oncino), Madonne (Piasco), Madone (Villar Pellice), ( Atlante Linguistico Canobbio & Telmon ).
A Boves il 'guinness' per la dizione più stramba: Donapapala, come ci segnala il prezioso glossario di Fausto Giuliano e A.Ruiu. Forse un ricordo della medicina popolare che proponeva il papavero come blando decotto bechico e sedativo da mescolare perfino alla pappa dei neonati, per farli dormire quando d'estate le donne andavano a lavorare le campagne oltre a sbrigare le faccende domestiche. E proprio dal celtico 'papa' sembra origini il suo nome. Infatti tra le prerogative del Papavero comune, e non soltanto del tipo P. somniferum, spontaneo in Asia con proprietà narcotico-stupefacenti, vi è quella di aiutare la distensione e indurre il sonno in chi ne faccia uso, caratteristiche che l'hanno associato nell'immaginario popolare a difetti quali pigrizia, misantropia e mollezza di carattere.
In occitano l'attribuzione di questa erbacea alla figura femminile si riferisce sicuramente alla straordinaria fertilità del fiore che mediamente produce da diecimila a ventimila semi, vitali per circa 40 anni, germinanti su stimolo luminoso in autunno. Quanto al richiamo sacro alla Madonna osserviamo come, in men che non si dica, boccioli e capsule di papavero possono esser trasformati, con un po' di abilità manuale e di fantasia, in graziose 'madonnine' . Talvolta per motivi ludici (chi non ha mai giocato da piccolo a creare bamboline e ballerine rovesciando la corolla a mo' di gonnella per evidenziarne la capsula a mo' di busto di damina ?) ma soprattutto nelle tradizioni folcloriche popolari per addobbi ed ornamenti con funzioni apotropaiche.
Il papavero non ha profumo ma dai suoi petali ricchi di antociani si ricava una tintura rossa usata molto per i tessuti. Colore del fuoco e simbolo del potere, stigmatizzato nella leggenda romana da Tarquinio il Superbo che fece abbattere i papaveri più alti del suo giardino quale monito verso i cittadini che avevano osato minare il suo regno. Stessa strategia resa popolare molti secoli dopo nella canzonetta “Papaveri e papere”, classificatasi al secondo posto al Festival di Sanremo del 1952, in cui i politici vengono paragonati a 'papaveri' che 'son alti, alti, alti'. In cucina, luogo di poteri meno arroganti e certo più intriganti, del papavero sono usati i minuscoli semi per aromatizzare pane e dolci oltre che per trarne dalla spremitura un olio con notevoli qualità dietetiche. Anche le foglie primaverili stufate costituiscono un originale ingrediente per farcire sfiziose focacce e crèpes, oppure semplicemente come raffinato contorno per carni o altro, ottimo sostituto dei più affermati spinaci. Apprezzabile seppur meno noto è il delizioso liquorino fatto con petali di papavero e cannella, gradevole da sorseggiare dopo una cenetta, possibilmente in casa, poiché oltre che digestivo è anche lievemente soporifero.

(dall' Ebook  'A SAN GIOVANNI TUTTE LE ERBE SONO SANTE'
su tutti i siti online AMAZON, FELTRINELLI, MONDADORI, euro 3,99 )





domenica 31 maggio 2020

domenica 17 maggio 2020

BIANCOSPINO, L'ALBERO DI MAGGIO


Il Biancospino coi suoi densi corimbi bianco-rosati 'dall'aria distratta' immortalata da Proust così come quel suo inconfondibile profumo 'untuoso' delicato ma non sempre da tutti gradito, fiorisce di maggio. Il mese che i Celti vollero dedicare, nel loro Calendario degli alberi, proprio a questo familiare arbusto dalle spine chiare e dai fusti intrecciati. Alba spina, come lo chiamarono i Romani, appartiene alla famiglia delle Rosacee con il termine linneiano Crataegus, dal greco Kratos cioè Forza, a motivo della durezza del legno e della longevità della pianta.
Cresce spontaneo in tutte le Valli alpine, nelle macchie, siepi e cespugli, fino a circa 1200 metri di altitudine, nelle due specie: 'monogyna' la più comune e 'oxyacantha' la più utilizzata in medicina. Straordinarie sono le sue proprietà sedative e cardiotoniche (Huchard) per il riequilibrio dei battiti e della pressione arteriosa, sia bassa che alta, tanto da essersi meritato il titolo di 'amico del cuore'.
Capace di attraversare i secoli - come dimostra l'esemplare di Boquetot in Alta Normandia felicemente arrivato a seicento anni con una circonferenza che supera i due metri - alla Pianta del Biancospino era dedicato 'Hat', il sesto mese dell'Anno lunare celtico (composto di 13 mesi e 328 giorni) che iniziava il 13 di maggio, giorno consacrato appunto al Biancospino, per durare fino al 9 giugno.
Albespin o Albespi, come nell'antica poesia di Guilhèm de Peitieus, più noto come Guglielmo d'Aquitania (1071-1126), il primo trovatore di cui si abbia notizia. L'incipit che la titola si richiama alla primavera:
'Ab la dolchor del temps novel...' e alla terza sestina recita ' Accade al nostro amore come al ramo del biancospino...'
In occitano: 'La nost'amor va enaissi co la brancha de l'albespi / qu'esta sobre l'arbre tremblan / la nuoit, a la ploja,/ tro l'endeman, que'l sols s'espan / per la feuillas verz el ramel”. Meravigliosa la versione in occitano antico interpretata da un evocativo Brice Duisit accompagnato dalla viella o ghironda (You Tube).
Varie e numerose le dizioni occitane per questo assai citato arbusto : Aguhiansìer (Elva), Blanziflour (Limone P.te), Bosou (Roccavione-Robilante), Barbatoni e Bòssu (Ostana), Gueut (Valli Lanzo), Pruset (Germanasca), Aoubéspi (Gard), Obopino (Limoges), Espin e Espina nell'antico provenzale, tanto per proporre le più curiose per la maggior parte legate alle parlate locali o a testi poetici popolari. Pianta ursina da cui l'antica dizione alpina di 'piccole pere dell'orso' riferita ai frutti.
Nella tradizione cristiana si pensava che la corona di spine di Gesù Cristo fosse fatta col biancospino, di qui il suo legame alla Madonna a cui venne consacrato, anche come simbolo di purezza per i suoi fiori bianchi i cui stami rossi ricordavano le gocce di sangue versate nella crocefissione. La figura della Madonna é anche una trasposizione cristiana della ritualità pagana legata all'antica dea Maia, regina del mese di Maggio, periodo in cui si praticava la purificazione attraverso la castità per propiziare fertilità di uomini, animali e campi in vista del periodo solstiziale di San Giovanni. E, proprio a questi fini rituali, i rami di biancospino erano anche usati nelle feste di nozze e per l'Albero di maggio, detto il 'Maggio'. 'Planta lou mai' si diceva quando nel medioevo veniva innalzato come augurio di futura prosperità per l'annata a venire nei villaggi (Trésor). Ricoperto spesso di decori che alludevano all'erotismo o legati alla sessualità, attorno a 'lou mai', simbolo fallico, si danzava e si faceva festa. Assunto nella Rivoluzione francese come 'Albero della libertà', in Francia tra il 1789 e il 1792 vennero piantati più di 60.000 alberelli di Crataegus.
Come per tutti gli alberi sacri la loro distruzione veniva ritenuta, nella leggenda, pericolosa e foriera di disgrazie, mentre tra le doti protettive attribuitegli nel mondo contadino, la più nota era quella di salvare dai fulmini e dai danni delle tempeste. Sacro alle Fate, insieme a frassino e quercia, costituiva una 'triade' ad esse dedicata, perciò nei luoghi dove le tre piante crescevano insieme, si credeva fosse possibile incontrare o vedere le magiche creature dei boschi.

(da 'A San Giovanni tutte le erbe sono sante' su tutti i siti online:Amazon,Feltrinelli,Mondadori,euro 3,99)


domenica 10 maggio 2020

martedì 5 maggio 2020

UN CONNUBIO PREZIOSO

LO SCARABEO DORATO  -  CHE TORNA  DI MAGGIO -  QUEST'ANNO SI CULLA NEI PETALI PROFUMATI DELLA ROSA ARANCIA
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martedì 21 aprile 2020

TRA LE FOGLIE • Canzone per Lingueglietta




Grazie Chiara per questa meravigliosa poesia che hai scritto e cantato per la nostra amata Lingueglietta. 'Un paese ci vuole' , l'ha scritto Cesare Pavese ne 'La luna e i falò'

domenica 12 aprile 2020

Il Fiore dello Spirito Santo

   Peristeria Alata, è una bellissima orchidea del Brasile che fiorisce il giorno di Pasqua , anche nota come
Fiore dello Spirito Santo

venerdì 10 aprile 2020

Pasqua 2020, un sogno d'aprile





Questa Pasqua di aprile 2020 ci viene rubata dal coronavirus....ma insieme ce la faremo. Andrà tutto bene!

giovedì 2 aprile 2020

MADRE TERRA

Il Tarassaco o Dente di Leone, poche pretese e molte virtù

Virasul  o  Dente di Leone  in fiore


Nonostante il brutto momento che stiamo passando a causa del corona-virus la primavera non si ferma.  Sta fiorendo il  Tarassaco che spontaneo nasce ovunque, negli incolti o ai margini della strada, tra le fessure del cemento e nelle vigne. Tappezza con i suoi fiori, piccoli soli dai raggi dorati, prati e pascoli fino e oltre i 1500 di quota. Infestante, quindi estremamente diffuso in natura, il Dente di leone non richiede perciò di essere coltivato nonostante le molteplici qualità alimentari e terapeutiche.
Già battezzato dai latini ' Dens leonis', dagli inglesi trasformato nel suggestivo e scampanellante 'Dandelion', il Tarassaco (taraxacum officinalis) della famiglia delle Asteracee, è conosciuto anche come Soffione per la caratteristica trasformazione del fiore in palla piumosa di frutti, gli acheni con pappo.
Noto in Francia come Pissalit (ma piscialetto, pisalet e pisciacane, pisacan, si usa anche da noi), per le sue indiscusse virtù diuretiche, in gergo è impropriamente noto come girasole, in occitanoVirasol o Virasoulei, Virasulai o Virasul (Boves), per le qualità eliotrope del suo disco giallo che rincorre la luce solare, rinchiudendosi al tramonto e riaprendosi all'alba, salvo in caso di brutto tempo. Mourpousìn in Val Maira (Ponzo), tradizione vuole che il suo orario di apertura e chiusura, rispettivamente alle cinque del mattino e alle venti di sera, sia considerato un vero e proprio orologio naturale per i pastori oltre che un sicuro barometro.
Indicato dal Mattioli, insigne medico e umanista del '500, tra le piante più adatte all'alimentazione umana, in cucina è ottimo per frittate o minestre primaverili. Ma è anche prelibato gustarlo nell'insalata di 'girasoli', fatta con le prime tenere fogliette nuove, condita insieme all'uovo sodo con olio e limone, tra i cibi più tipici delle scampagnate pasquali. E' ovviamente una verdura selvatica (sicoria servaja in piemontese) da raccogliersi ai primi sentori di primavera, rigorosamente con coltello alla mano e sacchetto di carta, a naso in giù per prati e incolti purché lontani da strade o luoghi inquinati.
Ma del tarassaco sono commestibili anche le ottime radici carnose, sia crude che lessate, dette fittonose perché a fittone, da cui si ottiene un surrogato del caffè soprattutto in uso nei periodi di guerra, nonché i delicati fiori, che in alcune ricette nelle Alpi Marittime si trasformano in una sfiziosa gelatina detta 'miele senza api'.E perfino i primi boccioli teneri che, messi in salamoia o sottaceto, nulla hanno da invidiare ai più pregiati capperi.
La moderna fitoterapia ha poi valorizzato oggi gli svariati impieghi di questo fitocomplesso, ricco di integratori naturali come inulina, colina e inosite, vitamine e sali minerali, per cure disintossicanti 'primaverili'. Particolarmente prescritto per fegato e reni sui quali agirebbe con una spiccata azione digestiva e diuretica, un vero e proprio drenaggio a livello epatobiliare e renale, tale da essere definita 'tarassacoterapia'.
Tante le virtù di questa erbacea, tra le più umili e popolari, facile da riconoscere fin da quando si è bambini per le semplici e gratuite attività ludiche che ci ha regalato, soprattutto nella terza fase del suo sviluppo quando -dopo la rosetta basale delle foglie nuove e dopo il ligulato fiore giallo - si trasforma in piumoso soffione.
Sarà capitato a tutti di emulare 'Eolo' (il pagano dio del vento) e con un forte soffio aver fatto volare in aria i leggeri acheni, contenitori dei semi e oracoli gentili del nostro futuro profetizzato dal bianco fiocco del tarassaco. Amori, anni di vita, altri interrogativi e non solo. Anche l'evocazione degli spiriti, oltre alla divinazione, come ci suggerisce l'Erboristeria magica. Ma in quel soffio, puro divertimento e poetico gioco infantile, forse non si è stati mai coscienti di aver contribuito in qualche modo alla disseminazione di una specie. Perché come i sogni o come le bolle di sapone, quei perfetti minuscoli paracaduti peluginosi dall'argenteo color di nebbia han preso il volo verso distanze incredibilmente lontane, anche centinaia di chilometri, per riprodursi da qualche altra parte sulla nostra bella terra. 

( da  'A San Giovanni tutte le erbe sono sante' ebook in rete )