lunedì 27 gennaio 2020
Giornata della Memoria dedicata a Lidia Rolfi Beccaria
Pochi giorni fa sulla porta di Casa Rolfi, a Mondovì, una scritta in tedesco, antisemita e provocatoria, voleva farci ripiombare nell'ombra buia di un passato che proprio oggi ha la sua 'Giornata della Memoria'. Hanno sbagliato indirizzo. Tante le luci che si sono accese vicino alla casa di Lidia Rolfi Beccaria, la scrittrice partigiana deportata a Ravensbruck a diciannove anni.
Tante le persone che si sono strette ad Aldino, figlio di Lidia, che ne ha raccolto il testimone con vero amore, tenendo viva la memoria, proprio come aveva fatto SEMPRE Lei che per tutta la vita ha voluto far conoscere la tragedia immane dei 'campi di concentramento nazisti' perché nessuno potesse mai più cadere vittima di tale Orrore. Con conferenze, con i suoi libri e con i 'viaggi della memoria', per scongiurare la violenza fin dal suo nascere e combattere la cultura dell'odio e della paura del diverso.
La vita è bella ... e a LIDIA che amava, i fiori, la musica, la vita, dedico 'La rosa bianca' . E' una canzone di amicizia, contro la guerra, che uscì nel 1963 con la musica di Sergio Endrigo e il testo del poeta cubano José Martì.
E' legata a un bellissimo ricordo di un invito a cena con altri amici, a casa sua. Proprio quella casa la cui porta hanno tentato malamente di violare. Senza riuscirci nè oggi nè mai.
Tante le persone che si sono strette ad Aldino, figlio di Lidia, che ne ha raccolto il testimone con vero amore, tenendo viva la memoria, proprio come aveva fatto SEMPRE Lei che per tutta la vita ha voluto far conoscere la tragedia immane dei 'campi di concentramento nazisti' perché nessuno potesse mai più cadere vittima di tale Orrore. Con conferenze, con i suoi libri e con i 'viaggi della memoria', per scongiurare la violenza fin dal suo nascere e combattere la cultura dell'odio e della paura del diverso.
La vita è bella ... e a LIDIA che amava, i fiori, la musica, la vita, dedico 'La rosa bianca' . E' una canzone di amicizia, contro la guerra, che uscì nel 1963 con la musica di Sergio Endrigo e il testo del poeta cubano José Martì.
E' legata a un bellissimo ricordo di un invito a cena con altri amici, a casa sua. Proprio quella casa la cui porta hanno tentato malamente di violare. Senza riuscirci nè oggi nè mai.
venerdì 24 gennaio 2020
Il Gelsomino invernale
Un
prodigio della natura che si ripete ogni anno, tra gennaio e febbraio
quando meno te l'aspetti, nell'orto o nel giardino ormai addormentati
e irrigiditi dal gelo lo ritrovi davanti agli occhi come una cascata
di vividi fiorellini giallo-dorati inondanti luce solare che riscalda
i rigori dell'inverno. Eccolo lì, il nostro Jasminum
nudiflorum,
ancor più suggestivo e quasi surreale se rivestito di neve o di
ghiaccio a cui resiste fino ai meno quindici sotto zero. La dizione
scientifica ne sottolinea la particolarità: gli eleganti e sottili
rami ancora nudi, verdi zampilli campestri, si ricoprono di fiori
prima che compaiano le piccole e ben disegnate foglie ovali che
perdureranno poi per tutto l'anno.
Rustico
e paziente, più noto come Gelsomino giallo, Gelsomino di San
Giuseppe o Gelsomino invernale, là nell'angolo dove è stato
relegato vicino alla colonna del portico, esposto a sud ovest nella
sua posizione preferita, senza particolari attenzioni e cure
rallegra, sinuoso e vivido, i mesi più grigi dell'anno ed accoglie
la primavera, 'ying
chun hua',
come si dice in Cina, terra dove pare abbia avuto origine.
Diffusosi
in Europa, sicuramente fin dal '700,
le Jasmin d'hiver in
Francia e the
winter
Jasmin
in Gran Bretagna, ha un profumo lievissimo che quasi non si
percepisce e per questo viene classificato come inodore. Qui sta la
maggior differenza con il più noto e pregiato Gelsomino bianco
estivo che condivide con la rosa lo scettro delle eccellenze
olfattive. Sovrano a Grasse, in Provenza, capitale europea dei
profumi, dove tuttavia gli altissimi costi di produzione – per
ottenere un kg. di essenza assoluta occorrono circa 7 milioni di
fiori - portano a un netto calo del prodotto naturale utilizzato
soltanto dalle marche più famose e costose, così sostituito da
fragranze artificiali a scapito della qualità
In
Oriente viene abbinato al tè per renderlo più dolce e gradevole. In
aromaterapia l'olio essenziale di gelsomino bianco viene utilizzato
come antidepressivo ad effetto lievemente afrodisiaco, mentre
nell'erboristeria magica i fiori essiccati attirerebbero più l'amore
spirituale che quello fisico (S.Cunningham).
Figlio
di un dio minore il 'giusmin gian o gimela' (Giamello) ha in comune
con il 'giusmin bianch' l'appartenza alla famiglia delle Oleacee.
Nella simbologia botanica però, mentre il fiore bianco è segno di
amabilità, il giallo vuol significare felicità.
Oltre
duecento le specie di questa pianta, tra cui si segnala l'endemico
Chrysojasminum
fruticans della Valle Roya,
un'olacea dal fiore giallo non facilmente reperibile altrove.
Mistral
cita alcune fra le più note in Provenza: “Jaussemin-bastard,
Jaussemin d'Espagno, Jaussemin-Fèr, Jaussemin-Jaune,
Jaussemin-Sòuvage.”
In occitano poi la dizione cambia a seconda delle zone:
Jaussemin, Jausemin (d.), Jansemin (g.) Jassemin (viv.) Jasemin,
Jaisemin, Daissemin, Diasemin (niç.), Jaussemi, Janchemin, Jensemil,
Jenchemil (l.), Jansemi (d.), Yansemis (b.).
Ed
è sempre nell'inesauribile
'Lou Trésor dou Félibrige' che
troviamo alcuni detti curiosi relativi al Flour de jaussemin.
“Li
jaussemin”
sono i primi capelli bianchi, e “vai
faire cueie ti jaussemin pèr d'autre”,
è un modo di dire per dissuadere un uomo attempato dal corteggiare
una giovane fanciulla. Lou troubaire Jansemin, fu un soprannome
adottato dal poeta Jacques Boé, nato e morto a Agen (1798-1864).
E
infine il motto “de
jaussemin te courounes la tèsto” (A.Tavan)
è un buon augurio che attraversa molteplici tradizioni culturali
come si evince anche dai versi di un poeta indiano:“Un
gelsomino in fiore sul capo/ del sandalo e dello zafferano sulla
pelle/ una donna amatissima e attraente sopra il corpo/ tutto ciò
è un'eco del paradiso terrestre”
martedì 7 gennaio 2020
LA REGINA DEI FIORI DI MONTAGNA
La Stella Alpina o Steiletto, regina dei fiori di montagna.
“Ogni volta che l’incontro capisco come ogni essere, pianta o animale, altro non sia se non luce materializzata … ma non oso coglierla perché mi pare un’apparizione miracolosa, un’incarnazione terrestre di una stella celeste, un’esplosione di luce pura col bianco dei suoi petali e il giallo solare dei fiori nei capolini” |
Così scrisse Cattabiani nel suo “Erbario simbolico” a proposito della Stella alpina.
E certo non avevamo saputo ammirarla come lui, noi che la prima volta in cui la vedemmo dal vivo eravamo ragazzi, in un’estate di tanti anni fa sulla cima del Sautron durante una camminata con gli amici. La scorgemmo in una fessura di roccia, in quel briciolo di terra di cui si accontenta per crescere fra luglio e agosto.
Non ricordo se allora la raccogliemmo oppure no, ma di certo oggi non avremmo potuto farlo: è specie protetta assai rara, da sempre considerata la “regina dei fiori di montagna” proprio perché cresce nelle zone alpine più difficili da raggiungere, anche oltre i tremila metri di altitudine.
Capace di sviluppare meccanismi di protezione che le consentono di sopravvivere a sbalzi termici anche molto elevati e ad alti livelli di radiazioni solari, il piccolo fiore appartenente alla famiglia delle Asteracee pare una stellina di pezza grigia argento, un po’ pelosetta per resistere a temperature alpine molto rigide. Non teme eccessive perdite d’acqua e questo particolare tradisce la sua originale provenienza da regioni calde ed aride.
In occitano Steiletto (Pons Genre) e Immortèla (nella variante occitano-bernese), mentre il suo nome scientifico Leontopodium, che in greco significa “piede di leone”, si riferisce alla forma del fiore che ricorda vagamente l’impronta artigliare del “re della foresta”.
E certo non avevamo saputo ammirarla come lui, noi che la prima volta in cui la vedemmo dal vivo eravamo ragazzi, in un’estate di tanti anni fa sulla cima del Sautron durante una camminata con gli amici. La scorgemmo in una fessura di roccia, in quel briciolo di terra di cui si accontenta per crescere fra luglio e agosto.
Non ricordo se allora la raccogliemmo oppure no, ma di certo oggi non avremmo potuto farlo: è specie protetta assai rara, da sempre considerata la “regina dei fiori di montagna” proprio perché cresce nelle zone alpine più difficili da raggiungere, anche oltre i tremila metri di altitudine.
Capace di sviluppare meccanismi di protezione che le consentono di sopravvivere a sbalzi termici anche molto elevati e ad alti livelli di radiazioni solari, il piccolo fiore appartenente alla famiglia delle Asteracee pare una stellina di pezza grigia argento, un po’ pelosetta per resistere a temperature alpine molto rigide. Non teme eccessive perdite d’acqua e questo particolare tradisce la sua originale provenienza da regioni calde ed aride.
In occitano Steiletto (Pons Genre) e Immortèla (nella variante occitano-bernese), mentre il suo nome scientifico Leontopodium, che in greco significa “piede di leone”, si riferisce alla forma del fiore che ricorda vagamente l’impronta artigliare del “re della foresta”.
Popolarmente è a tutti nota come Stella Alpina o Edelweiss, quest’ultimo termine dal tedesco “nobile bianc”’ venne usato fin dall’Ottocento nei paesi germanici come nome proprio femminile che si festeggia il primo novembre.
“Cogliere l’Edelweiss”, nelle regioni alpine di lingua tedesca, divenne un sinonimo di ardimento e audacia. “Verso l’edelweiss” ovvero “De cap tà” è un canto occitano bernese composto nel 1978 e ormai appartiene al repertorio tradizionale, come inno alla libertà e all’amore del proprio paese. Nel suo refrain ripete “Haut, Peiròt, vam caminar, vam caminar,/ De cap tà l’immortèla,/ Haut, Peiròt, vam caminar, vam caminar,/ Lo paìs vam cercar.”
Nonostante il sentimento di familiarità che ci lega alla nostra Stella alpina, anche per il grande fascino delle eroiche vette in cui essa trova il proprio spazio vitale, la sua icona popolare ci pare un po’ troppo sfruttata dai marchi pubblicitari (di abbigliamento, birra e altro .. perfino sull’euro austriaco), che ne hanno banalizzato l’immagine, come non avrebbe meritato se l’avessimo potuta ammirare soltanto in natura, nella sua purezza e semplicità esemplare.
“Cogliere l’Edelweiss”, nelle regioni alpine di lingua tedesca, divenne un sinonimo di ardimento e audacia. “Verso l’edelweiss” ovvero “De cap tà” è un canto occitano bernese composto nel 1978 e ormai appartiene al repertorio tradizionale, come inno alla libertà e all’amore del proprio paese. Nel suo refrain ripete “Haut, Peiròt, vam caminar, vam caminar,/ De cap tà l’immortèla,/ Haut, Peiròt, vam caminar, vam caminar,/ Lo paìs vam cercar.”
Nonostante il sentimento di familiarità che ci lega alla nostra Stella alpina, anche per il grande fascino delle eroiche vette in cui essa trova il proprio spazio vitale, la sua icona popolare ci pare un po’ troppo sfruttata dai marchi pubblicitari (di abbigliamento, birra e altro .. perfino sull’euro austriaco), che ne hanno banalizzato l’immagine, come non avrebbe meritato se l’avessimo potuta ammirare soltanto in natura, nella sua purezza e semplicità esemplare.
Forse a causa della difficile reperibilità, la piantina non è mai stata neppure molto usata dalla medicina popolare, salvo che in Tirolo per il trattamento dei dolori addominali e per la tosse.
Di recente ad alcuni suoi componenti, isolati nella radice (fitosteroli, aminoacidi, flavonoidi, ecc.), sono state però riconosciute importanti proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antibatteriche. Soprattutto nella cosmesi per la cura delle tanto temute rughe intorno agli occhi, segno tangibile di vecchiaia in questa società che non sopporta la decadenza fisica e sempre più tende a inseguire il mito di Pan.
Eletta a simbolo del coraggio per lo sprezzo del pericolo che dimostra chi vuol raccoglierla, la Stella alpina, secondo l’erboristeria magica avrebbe il potere di rendere invisibile chi la indossa. Tra le tante leggende che l’accompagnano, la più nota e sconsolante è forse quella della Regina delle nevi, bella e pura per non aver potuto realizzare il suo amore proibito di potersi unire all’uomo di cui era follemente innamorata, solo perché lui era un mortale.
Di qui la trasformazione/punizione ad opera degli dei, in fiore, l’ Edelweiss appunto che nasce in luoghi irraggiungibili per gli esseri umani.
Un insegnamento ambiguo o forse un dis-insegnamento. Certo un pratico avvertimento che nella vita chi aspira a ciò che non può raggiungere deve poi ripiegare sul concreto. Vale a dire che “il meglio è nemico del bene”.
Di recente ad alcuni suoi componenti, isolati nella radice (fitosteroli, aminoacidi, flavonoidi, ecc.), sono state però riconosciute importanti proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antibatteriche. Soprattutto nella cosmesi per la cura delle tanto temute rughe intorno agli occhi, segno tangibile di vecchiaia in questa società che non sopporta la decadenza fisica e sempre più tende a inseguire il mito di Pan.
Eletta a simbolo del coraggio per lo sprezzo del pericolo che dimostra chi vuol raccoglierla, la Stella alpina, secondo l’erboristeria magica avrebbe il potere di rendere invisibile chi la indossa. Tra le tante leggende che l’accompagnano, la più nota e sconsolante è forse quella della Regina delle nevi, bella e pura per non aver potuto realizzare il suo amore proibito di potersi unire all’uomo di cui era follemente innamorata, solo perché lui era un mortale.
Di qui la trasformazione/punizione ad opera degli dei, in fiore, l’ Edelweiss appunto che nasce in luoghi irraggiungibili per gli esseri umani.
Un insegnamento ambiguo o forse un dis-insegnamento. Certo un pratico avvertimento che nella vita chi aspira a ciò che non può raggiungere deve poi ripiegare sul concreto. Vale a dire che “il meglio è nemico del bene”.
Gloria Tarditi
mercoledì 1 gennaio 2020
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